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Storia della Chiesa dei Santi Michele e Gaetano di Firenze

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La chiesa dei Santi Michele e Gaetano è una delle sorprese che Firenze riserva a chi, pur  avventurandosi per il centro storico in cerca di vestigia rinascimentali, sia disposto a guardare anche le altre anime della città, neglette dal turismo di massa.

Nella piazza Antinori, all’imbocco di via Tornabuoni, si staglia una rara facciata barocca in pietra forte, con statue e festoni in marmo bianco, di gusto propriamente “romano”. Sopra un preesistente edificio di fondazione longobarda, noto come San Michele Bertelde (di cui rimangono alcuni rilievi scultorei del secolo XI nell’oratorio Antinori adiacente alla chiesa), il nuovo complesso fu eretto su disegno dall’architetto granducale Matteo Nigetti nel 1604-1648, come insediamento fiorentino dei Chierici Regolari Teatini, giunti in città nel 1592 dietro esplicita richiesta di Ferdinando I de’ Medici che intendeva proseguire, nel solco del padre Cosimo I, un’opera di adeguamento urbano ma soprattutto spirituale alle istanze del Concilio Tridentino. L’ordine fondato da san Gaetano da Thiene nel 1524 si stava rivelando infatti, come i Gesuiti di sant’Ignazio, una efficace risposta alle sfide del tempo. 

La casata medicea provvide alle spese per la costruzione dell’edificio sacro mentre alla parte decorativa – arredi, statue e dipinti – pensarono alcune famiglie patrizie fiorentine che acquisirono i diritti di patronato sulle cappelle dell’erigenda chiesa, coinvolgendo i migliori artisti del momento: Santi Michele e Gaetano si presenta così come una preziosa antologia di pittura e scultura del barocco fiorentino.

ARCHITETTURA DELLA CONTRORIFORMA

La chiesa è a navata unica con tre cappelle per lato ed un breve transetto che immette in due cappelle ai lati del presbiterio, il quale prosegue dietro l’altar maggiore in un ampio coro con stalli lignei intagliati, destinati ai chierici che vi recitavano l’Ufficio divino.

L’impianto generale ricorda quello delle chiese-modello della Controriforma Cattolica, come ad esempio il Gesù di Roma, nonché i suggerimenti proposti da san Carlo Borromeo nelle sue Instructiones Fabricae et suppellectilis (1577); ma il confronto più pregnante si instaura con l’insediamento fiorentino dei Gesuiti, ovvero la chiesa di San Giovannino, edificata nel 1592 da Bartolomeo Ammannati. Il Nigetti tuttavia accrebbe ed enfatizzò l’altezza modesta di San Giovannino creando in Santi Michele e Gaetano un doppio ordine – corinzio inquadrato e sovrastato dal tuscanico – nella sobria cromia della pietra serena che tutto avvolge e struttura, secondo la tradizione fiorentina da Brunelleschi in poi.

Il modulo ritornante della navata è costituito dalle coppie di pilastri che sorreggono gli archi delle cappelle, alternando al “vuoto” di queste il “pieno” del setto murario, che ospita i confessionali e, al di sopra, le statue degli Apostoli con i bassorilievi dei loro martiri: quasi a ribadire l’identità concettuale tra gli “elementi portanti” dell’architettura e il ruolo degli Apostoli e della gerarchia cattolica quale “fondamento” della vera fede (cfr. Efesini, 2, 20-21; Apocalisse, 21, 14), negli anni turbolenti in cui tale autorità veniva messa in discussione.  

Le statue degli Apostoli furono realizzate in due campagne separate, una verso il 1640 e coeva alla maggior parte della decorazione pittorica, ad opera di  scultori legati alla tradizione cinquecentesca come Antonio Novelli, e un’altra più tardi, verso il 1680,  ad opera di un gruppo di scultori formatisi all’Accademia Medicea di Roma, istituita dal granduca Cosimo III: il più talentuoso di essi fu senz’altro Giovan Battista Foggini, autore del San Pietro e del San Paolo che si stagliano ai lati dell’apertura del presbiterio, in ampie ed avvolgenti vesti che riecheggiano la plastica del Bernini.

MATTEO ROSSELLI, JACOPO VIGNALI E PIETRO DA CORTONA

Anche la decorazione pittorica della chiesa rispecchia la spiritualità della Controriforma, tanto nei soggetti prescelti quanto nella loro trasposizione figurativa. Le intitolazioni delle cappelle rivelano infatti la devozione ad alcuni dei culti più diffusi mentre i dipinti svelano le diverse possibili espressioni dell’arte seicentesca, spesso tacciata di superficialità ed invece intrisa di molteplici sfumature: dalla chiarezza espositiva di Matteo Rosselli – la cui fede sincera documentata dalle fonti coeve traspare nel suo tono piano e suadente, da oratore sacro, ad esempio, della Natività nella cappella Bonsi – alla pittura invece più lirica ed amorosa di Jacopo Vignali, con accensioni improvvise di colore ed ombre dense a solcare i visi sospesi nelle stupende tele della cappella Mazzei intitolata agli Angeli.

È presente altresì l’altra faccia del Seicento, quello “romano”, dall’eloquenza fragorosa e coinvolgente, espresso nel concitato Martirio di san Lorenzo della cappella Franceschi, di Pietro da Cortona.

IL FECONDO APOSTOLATO FIORENTINO

Santi Michele e Gaetano è dunque una viva testimonianza dell’arte del Seicento fiorentino, certo, ma anche della fede vissuta dal popolo tutto: tanto la nobiltà, alla quale apparteneva Elisabetta Bonsi, che lasciò mille scudi per la decorazione della cappella della Natività – lei che, ci informa il suo confessore, visse in continua penitenza e meritò di avere una visione della Vergine col Bimbo, nella notte di Natale 1602 –; quanto la gente semplice, come l’umile Serafina Pezzuoli che in questa chiesa venne sepolta in odore di santità nel 1628, dopo aver vissuto ventisei anni continui a letto ammalata, offrendo le proprie sofferenze per la salvezza di tutte le anime.

Il suo intenso ritratto, dipinto da Carlo Dolci ed apposto alla lapide in un vano seminascosto tra le cappelle del lato sinistro, è l’ultima e più preziosa sorpresa che riserva la chiesa dei Santi Michele e Gaetano a chi voglia scoprirla, luogo di culto oggi officiato dall’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote che ogni domenica e festa di precetto vi celebra nella forma straordinaria del Rito Romano.