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Dopo una notte di bombardamenti e incursioni. Cade anche Tikrit: carri Usa nel centro della città

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Pentagono aggiorna il bilancio delle vittime Usa, 125 soldati uccisi. – Il Pentagono ha fornito i dati relativi alle perdite americane nel corso dei combattimenti in Iraq, una fase del conflitto considerata ormai conclusa. I soldati uccisi sono stati 125: di questi 107 sono morti in azioni di guerra e 18 in seguito ad incidenti. Si contano inoltre 495 feriti e 3 dispersi. (Agr)

L’annuncio è di un portavoce del capo della Casa Bianca. Bush: «L’Onu revochi le sanzioni all’Iraq». Il presidente Usa chiederà ufficialmente alle Nazioni Unite il ripristino di normali rapporti commerciali con il Paese

Washington – Il presidente Usa, George W. Bush, si appresta a chiedere all’Onu la revoca delle sanzioni imposte all’Iraq dopo l’invasione del Kuwait, nel 1990. Lo ha detto il portavoce Scott McClellan: «Adesso che gli iracheni sono stati liberati, l’Onu dovrebbe togliere le sanzioni economiche contro l’Iraq» ha detto.

RIPRISTINO DELLA NORMALITA’ – Secondo le informazioni che giungono da St.Louis, dove il presidente è arrivato per una breve visita, la revoca delle sanzioni «faciliterebbe il ripristino di normali relazioni commerciali con il resto del mondo, il più presto possibile». Le sanzioni in atto impediscono l’acquisto di petrolio dall’Iraq o la vendita di beni all’Iraq, al di fuori del programma oil-for-food, «petrolio in cambio di cibo», che è gestito dalle Nazioni Unite. 16 aprile 2003

Grave incidente nei pressi degli edifici dell’amministrazione. Nuovi scontri a Mosul, altri quattro morti. Un maggiore della polizia irachena accusa i marines: «Hanno sparato contro di noi». Ieri nella stessa città uccisi 12 iracheni

MOSUL (Iraq) – Mosul è il ancora teatro di guerra. Dopo la sparatoria di ieri nella quale sono morti 12 iracheni, nuovi scontri a fuoco sono avvenuti questa mattina poco dopo mezzogiorno (ora locale, le 10 in Italia) in una delle piazze centrali della città che si trova nel nord dell’Iraq. Un ufficiale della polizia irachena ha detto che tre civili sono rimasti uccisi, mentre un quarto cadavere è stato trovato all’interno della Banca centrale intorno alla quale si sono verificati gli scontri. Questo quarto cadavere risalirebbe tuttavia a due giorni fa. L’assistente del direttore dell’ospedale centrale «Saddam», Nawal Taha, ha detto che sono giunti finora otto feriti, due sono poliziotti iracheni: un ufficiale è in gravissime condizioni.

POLIZIA – Un maggiore della polizia irachena, giunto in corsia per visitare i feriti, ma che si è rifiutato di fornire il nome, ha accusato i marines americani di avere aperto il fuoco contro i suoi uomini mentre intervenivano per disperdere la folla che stava tentando di assaltare la sede della banca. Uno degli agenti feriti, Jounis Ahmet, 22 anni, conferma la versione: «Stavano raggiungendo la banca dove ci era stato segnalato un saccheggio in corso – racconta – abbiamo sparato in aria per disperdere la folla ma dal Palazzo del Governo sulla cui terrazza erano appostati i tiratori scelti americani, hanno iniziato a sparare contro di noi».

LA VERSIONE USA – «I miei uomini hanno solo risposto al fuoco – ha detto il colonnello Robert Waltamajar ammettendo che i militari Usa hanno sparato – siamo ancora in guerra e abbiamo diritto di sparare contro chiunque apra il fuoco contro di noi e ci impedisca di ristabilire la pace». E ancora: «I miei uomini hanno risposto in maniera adeguata sparando solo contro gli obiettivi dai quali proveniva l’attacco, e non contro la folla». L’ufficiale, tuttavia, non esclude la possibilità di un errore: «è molto difficile, in questi casi, stabilirlo» ha detto.

TORNATO IN SERVIZIO – Il poliziotto è stato ferito a una spalla e a una gamba: era in polizia da sei anni ed era tornato in servizio da appena due giorni, dopo che il suo comando aveva raggiunto un accordo con i soldati americani. «L’intesa era di pattugliare insieme la città per riportare l’ordine, e per questo siamo stati anche autorizzati ad avere le armi». Il poliziotto non si spiega la ragione per cui i marines avrebbero aperto il fuoco contro di lui. Al momento non si conosce la versione dei militari americani sull’incidente.

LA SPARATORIA DI IERI – In una controversa sparatoria ieri, sempre a Mosul, erano morte dodici persone. Non è ancora chiaro se i marines abbiano aperto il fuoco su una folla di manifestanti o se invece sia stata opera di cecchini iracheni. Certo è che non esiste una versione univoca dell’accaduto. Gli iracheni sostengono che in un momento di tensione i marines hanno sparato sulla genete radunata in piazza per un discorso di Mashan Al

Juburi, un esponente di una delle più potenti tribù arabe irachene autoproclamatosi governatore della città dopo l’arrivo delle forze Usa, venerdì scorso.

Le forze americane hanno però prima smentito la circostanza, poi ammesso di aver fatto fuoco per difendersi da cecchini sparando verso la parte alta degli edifici e infine, oggi – come specificato il generale Vincent Brooks in un briefing al Comando centrale americano in Qatar (Centcom) – hanno detto di aver aperto il fuoco contro manifestanti e di averne uccisi «circa sette», stavolta senza precisare alcunché sulle motivazioni. 16 aprile 2003

I dati dello Stato maggiore: siamo al massimo delle possibilità. Sono 9.054 i militari italiani in missione di pace. Due le presenze più importani: nei Balcani e in Afghanistan. In Iraq andranno parte dei soldati impegnati in altre operazioni

ROMA – Non solo Afghanistan e, tra poco, Iraq. Sono 9.054 i miliatri italiani già impegnati in operazioni di pace all’estero. Il dato viene dall’ultimo aggiornamento dello Stato maggiore della Difesa, che parla di una quota di «proiezione esterna» al suo massimo di sopportabilità per le forze armate. Per questo una parte dei circa 3 mila militari che andranno a Bagdad potrebbero essere «dirottati» da altre destinazioni, riducendo in particolare il numero di quelli dislocati nella ex Jugoslavia, nelle missioni Kfor e Sfor. Dopo la guerra del 1991 era stata costituita una missione di osservatori sul confine tra Iraq e Kuwait. L’Italia partecipa ancora oggi con un ufficiale.

MISSIONI – Sono due le principali missioni in corso: quella nei Balcani, dove l’Italia è protagonista della missione promossa dalla Nato sotto l’egida dell’Onu, che impegna 6.463 militari; e quella più recente in Afghanistan dove, tra contingente «Nibbio» a Khost, missione Isaf a Kabul e altre attività Nato, sono impiegati 2.315 soldati. Ma la presenza di militari italiani all’estero, pur con numeri più ridotti, è anche altri Paesi: Marocco, Eritrea, Congo, Palestina, Malta, Libano, al confine tra India e Pakistan, in Egitto, in Israele. In totale impegnano altri 221 militari.

ALBANIA – In Albania ci sono 1.055 uomini con diversi compiti. Sono attivi 26 osservatori italiani che verificano la distruzione delle armi dopo la guerra. In Macedonia 180 uomini sono il supporto logistico alla Kfor. E 28 militari sono al quartier generale della Nato a Skopje. Una missione punta ad arginare il fenomeno dell’emigrazione clandestina e impegna il 28esimo gruppo navale con circa 180 uomini; un’altra concerne l’addestramento dei piloti e impegna un reparto di volo a Valona, 100 uomini in tutto; una terza consiste in una delegazione di 24 esperti che cooperano con i militari albanesi per la riorganizzazione delle Forze Armate. Al quartier generale della Nato a Tirana operano 735 uomini. Sono 16 gli ufficiali italiani impegnati nella missione europea di osservazione sul processo di pace nei Balcani. Ecco un quadro delle missioni militari italiane in corso, secondo le informazioni fornite dalla Difesa, con aggiornamento alla fine di marzo.

KOSOVO – Sono due le operazioni in Kosovo. Nell’ambito della Kfor, l’operazione «Joint Guardian» ha l’obiettivo di assicurare l’applicazione dell’accordo di pace nel paese della ex Jugoslavia. Partecipano in tutto 37 nazioni, ma l’Italia ha un ruolo guida con l’impegno di 3.760 soldati. La seconda missione delle Nazioni Unite è l’Unmik e ha sede a Pristina. L’Italia concorre, insieme ad altri 50 paesi, con un osservatore militare e 70 elementi della polizia.

BOSNIA – Due i fronti anche in Bosnia. L’operazione «Joint Forge» serve a garantire la cornice di sicurezza necessaria per la normalizzazione della situazione in Bosnia Erzegovina dopo la guerra. Il contributo di «Italfor Bosnia» è di circa 1.390 uomini. La missione European Union Police Mission, per una forza internazionale di polizia europea in Bosnia-Erzegovina, che impegna 23 militari dell’Arma dei carabinieri e 21 elementi della polizia.

AFGHANISTAN – Il contributo italiano all’operazione «Enduring freedom» contro il terrorismo internazionale lanciata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 è rappresentato dall’operazione «Nibbio» a Khost, nel Nord del Paese. In più ci sono gli uomini di nave «Mimbelli» (sede del comando della forza marittima europea a guida italiana) e quelli del rifornitore «Stromboli» che operano nell’Oceano Indiano. In tutto la missione coinvolge 1.625 uomini, più 185 addetti ad attività Nato. Si aggiungono poi 505 soldati che partecipano all’Isaf, il primo contingente di militari inviato in Afghanistan, dopo la risoluzione Onu 1386 del 20 dicembre 2001.

INDIA/PAKISTAN – Sono 7 gli osservatori militari italiani nell’area del Kashmir contesa tra i due stati.

MEDIO ORIENTE – Il Mfo (Multinational Force and Observers) è una organizzazione internazionale indipendente per il mantenimento della pace tra Egitto e Israele, sancita dal Trattato di pace del 1979. Il contingente militare italiano, che opera nel Sinai, è formato da 78 uomini della Marina. In Libano è in corso un’altra missione costituita in base a una risoluzione dell’Onu (425 dal 19 marzo 1978) per mantenere la pace nel Paese: l’Italia contribuisce con un reparto della Cavalleria dell’Aria costituito da 51 uomini e 4 elicotteri AB-205 di stanza a Naqoura. Untso è la più vecchia missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, sul conflitto in Medio Oriente, risale al 1958 e opera a Israele: vi partecipano 7 ufficiali italiani come osservatori. A Hebron la missione voluta dall’Anp dopo l’accordo sulla striscia di Gaza del 1995 impegna 12 italiani.

ETIOPIA/ERITREA – La missione «Unmeee» è prevista nell’accordo di Algeri del 18 giugno 2000 tra i due paesi. Dal dicembre scorso, la partecipazione italiana è ridotta ad un reparto dei carabinieri (circa 62 uomini) e 3 osservatori.

SAHARA OCCIDENTALE – Quattro osservatori militari italiani partecipano alla missione «Minurso» in Sahara Occidentale decisa con la risoluzione 690 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 29 aprile 1991 dopo l’intesa tra il Marocco e il Fronte Polisario per la fine della guerra.

CONGO – La missione «Monuc» serve per vigilare sull’attuazione del cessate il fuoco previsto dagli accordi di Lusaka del 10 luglio 1999. Sono tre gli ufficiali italiani che dovrebbero restare fino al 30 giugno prossimo.

MALTA – Miatm è la missione italiana di assistenza tecnica a Malta, coinvolge 48 militari. 16 aprile 2003

Dubbi e polemiche su come rimpiazzare il «dinaro di Saddam». Iraq: stipendi statali saranno pagati in dollari. Wall street journal: la Federal Reserve Bank di New York sta inviando alla capitale irachena la moneta

NEW YORK – Secondo quanto riporta questa mattina il Wall Street Journal, gli Stati Uniti hanno iniziato a trasportare ingenti quantità di bigliettoni verdi dalla Federal Reserve Bank di New York alla capitale irachena per poter pagare gli stipendi ai lavoratori del settore statale e delle forze di polizia. Si tratterebbe di una misura di emergenza imposta in gran parte dalle necessità del momento ma che potrebbe portare di fatto alla dollarizzazione dell’economia irachena e con essa delle economie dei paesi confinanti. Un processo che non mancherebbe di sollevare un vespaio di polemiche in quella parte del mondo arabo che negli Usa vedono un nemico giurato e nel dollaro il simbolo del suo strapotere.

DUBBI E OPPORTUNITA’ – Eppure al momento sono in pochi a dubitare del fatto che in un paese travolto da un’inflazione galoppante serva una valuta stabile che non perda valore da un giorno all’altro e che soprattutti rimpiazzi i miliardi di banconote con impressa l’odiata faccia di Saddam Hussein. Oltre al «dinaro di Saddam», circola anche un altro dinaro che risale a prima dell’inizio della dittatura ma anche questo ha perso gran parte del proprio valore. «Non abbiamo alcuna intenzione di forzare la dollarizzazione dell’Iraq – ha assicurato un portavoce del ministero del Tesoro al Wall Street Journal – superata la fase dell’emergenza, il nuovo governo iracheno sceglierà la propria nuova moneta nazionale e deciderà se legarla all’andamento del dollaro oppure no. Noi al momento vogliamo solo assicurarci di pagare gli stipendi dei lavoratori iracheni». Stipendi che secondo i primi calcoli non dovrebbero superare i 20 dollari al mese in modo da non innescare una spirale inflazionistica che tornerebbe a tutto danno del paese. 16 aprile 2003

L’ultima convinzione dell’intelligence: il dittatore è vivo e in fuga. Agenti segreti e satelliti spia per cercare Saddam. Per la caccia al raìs in campo Cia, controspionaggio inglese, apparecchiature sofisticatissime e intercettazioni radio e e-mail

WASHINGTON – I migliori agenti dei servizi segreti occidentali, Cia, MI6 (i servizi inglesi) e quelli del Mossad israeliano, sono sguinzagliati in una caccia senza precedenti a Saddam Hussein che, a differenza di qualche giorno fa, si ritiene sia vivo. Il direttore della Central Intelligence Agency, George Tenet, ha piazzato cento uomini scelti tra il Cairo, Amman, Damasco, l’Iran, lo Yemen e l’area intorno a Baghdad. Lo stesso ha fatto Richard Billing Dearlove, direttore dell’MI6, il servizio di controspionaggio inglese, che ha mandato 175 agenti sulle orme del rais in fuga dopo la disfatta del regime.

CACCIA VIA SATELLITE – La caccia all’ ex dittatore iracheno è affidata anche ai satelliti-spia. Sia quelli della National Security

Agency statunitense che ha sede nel Maryland, dotati di multicamere in grado di intercettare migliaia di immagini al minuto nel deserto e nell’area intorno alla capitale. Sia quelli del Government Communication Headquarter inglese dislocati nelle stesse zone dove si sospetta si sia diretto Saddam Hussein. Per giorni e giorni, le sofisticate strumentazioni di inglesi e americani hanno intercettato tutto il traffico radio e via e-mail intorno a Baghdad nel tentativo di carpire eventuali comunicazioni tra i fedelissimi del rais.

TUTTI I TRUCCHI DI SADDAM – Saddam Hussein è vivo. Questa, almeno, sembra essere l’ultima convizione alla quale sono pervenuti gli analisti di intelligence. Gli ultimi rapporti firmati da Cia ed MI6 raccontano come il dittatore sarebbe fuggito verso il deserto iracheno con un aspetto completamente mutato rispetto all’immagine ufficiale. Saddam avrebbe indossato abiti da beduino del deserto, tagliato i baffi neri, riportato i capelli al colore bianco naturale, scolorito i denti e inserito del cotone nella guance per assumere un aspetto da persona molto più anziana dei suoi 65 anni. Per fuggire da Baghdad bombardata dal fuoco degli alleati, il dittatore di sarebbe nascosto, secondo i servizi segreti, in una carovana di cammelli, protetto da almeno trecento dei suoi pretoriani. Dall’alto, la comitiva sarebbe stata scambiata per un gruppo di rifugiati.

GLI SPOSTAMENTI – Secondo alcuni, Saddam si sarebbe diretto verso le la zona montagnosa a nord dell’Iran. Secondo altri sarebbe già in Siria, paese amico raggiunto già nella prima settimana del conflitto. Intanto, i servizi di intelligence hanno rintracciato il conto bancario di Hassan al Majid, detto «Alì il chimico»: avrebbe trasferito 30 milioni di dollari dalla Central Irak Bank a Damasco, nel tentativo di raggiungere la Siria. Altri 50 milioni di dollari sono stati spostati da Baghdad a Teheran, dove Alì il chimico, ucciso la scorsa settimana da un bombardamento, ha fatto tappa nel febbraio scorso, aiutato da alcuni mullah antiamericani, con l’obiettivo di far ottenere ospitalitá a Saddam e ai suoi due figli, Uday e Usay. Per un soffio, infine, il rais è riuscito a scampare ad un agguato teso dagli alleati al ristorante al-Saa, nella zona di Mansour, a Baghdad, dove egli si era riunito insieme a trenta dei suoi più uomini più fidati. Ma qualche minuto prima che il colonnello Fred Swan ordinasse di sganciare le bombe Bgu-31 sull’edificio, il dittatore si è dileguato ordinando ai presenti di rimanere seduti. 15 aprile 2003

Giornalisti svegliati sotto il tiro delle armi. Quattro iracheni fermati. Bagdad, irruzione dei marines all’Hotel Palestine. Operazione dei militari Usa che cercavano «elementi ostili» all’interno dell’albergo che ospita la stampa internazionale

BAGDAD – I marine Usa hanno fatto irruzione questa mattina all’interno dell’Hotel Palestine di Bagdad, l’albergo che ospita la gran parte di giornalisti stranieri presenti nella capitale irachena. I soldati americani hanno ispezionato diverse stanze dell’albergo. Nell’irruzione di questa mattina all’Hotel Palestine, i marine Usa hanno sfasciato porte e rastrellato tutto l’edificio, dai piani bassi sino al tetto, alla ricerca di quelli che definiscono «elementi ostili».

IRRUZIONE – Fonti militari rivelano che secondo informazioni di intelligence, all’interno del Palestine si nasconderebbero miliziani paramilitari iracheni (o stranieri). Per questa è stata decisa l’irruzione, che ha concentrato le perquisizioni ai piani 16 e 17 dell’albergo, che ospitano un gran numero di giornalisti stranieri. I marines hanno sorpreso molti giornalisti ancora a letto e gli hanno intimato di alzarsi puntandogli contro i fucili mitragliatori M-16. I militari erano dotati delle chiavi delle stanze ma in alcune circostanze hanno preferito fare irruzione sfondando direttamente la porta a spallate.

QUATTRO FERMATI – Il sergente Jose Guillen, conferma l’operazione ma non fornisce ulteriori dettagli anche se precisa che «non ci sono stati colpi di arma da fuoco». Nel raid sono stati fermati almeno quattro iracheni che non avevano regolari documenti di identificazione. Altri sospetti sono interrogati in una stanza dell’albergo. Tra questi anche anche un cameraman televisivo. 15 aprile 2003

Il giornale Time ha adottato il bambino, aiuti da tutto il mondo. Ore disperate per Ali, piccolo mutilato iracheno. Il Kuwait pronto a curare il bambino che ha perso le braccia e i genitori in un bombardamento a Bagdad

COMANDO DI AS-SALIYAH (Qatar) – Il piccolo Ali Ismail Abbas verrà forse ricoverato in un ospedale pediatrico del Kuwait. Ma questa non è ancora una buona notizia. I medici che, da giorni, cercano di curare il bambino a Bagdad, in ciò che resta della struttura ospedaliera di Saddam City, sostengono infatti che anche solo il trascorrere di altre poche ore potrebbe rivelarsi fatale per la sua vita. Non occorre essere un medico, per capire: Ali giace su un letto, con due rotoli di bende a chiudergli le spalle, cui le schegge di un missile strapparono entrambe le braccia. Il resto del corpo è avvolto in garze intrise di una pomata che dovrebbe lenirgli il dolore per le ustioni. Croste di sangue, sulle lenzuola e sul cuscino. Dove sprofonda il suo viso da bambino esausto. Gli è anche stata diagnosticata una forma avanzata di setticemia. Ali ha 12 anni.

APPELLO – L’infermiera che si prende cura di lui, in un ospedale dove ci sono medici che girano armati per difendere le corsie e le camere operatorie dai saccheggiatori, due giorni fa aveva lanciato un appello al presidente americano George W. Bush e al premier britannico Tony Blair. «Avete la tecnologia per bombardarci, per costruire i missili che hanno mutilato e ustionato Ali e non riuscite a trovare un aereo per portarlo via da questo inferno e salvarlo?».

Il missile centrò la baracca dentro cui Ali era nascosto cinque giorni prima che Bagdad capitolasse. La baracca era in un villaggio, a 15 chilometri dalla capitale irachena, che la famiglia del bambino aveva lasciato non sentendosi più al sicuro. La deflagrazione uccise dieci persone: il padre e la madre di Ali, che era in stato di gravidanza. Poi una sorella, un fratello e altri sei cugini.

TRAGEDIA – – E’ inutile descrivere la scena che i soccorritori raccontarono di essersi trovati innanzi: Ali era l’unico sopravvissuto e, pur urlando dal dolore, trovò la forza di chiedere dove fossero finite le sue mani. Più tardi, ad Osama Salè, il medico che gli prestava le prime cure, disse: «Come faccio, adesso? Io avrei voluto fare il tuo lavoro. Ma senza mani? Come posso fare il medico, senza mani?». Osama Salè ammette di essersi convinto che non doveva prestare troppa attenzione a quelle parole struggenti. «Non guardai nemmeno troppo il viso del bambino». Non erano tanto le mutilazioni, a preoccuparlo: quanto, piuttosto, le ustioni profonde provocate dalla fiammata del missile. «Giuro che quando il mattino seguente tornai a trovare Ali, ero convinto di trovarlo morto. E invece era lì, vivo, con quegli occhi ormai da adulto, che mi chiedeva: come sto, dottore?».

IMMAGINI – C’erano fotografi, in quei giorni, che cercavano immagini eloquenti, dentro l’ospedale di Bagdad. Uno di loro scorse Ali. A volte, basta uno scatto, per spiegare quanto atroci siano le guerre. La foto ha fatto il giro del mondo e così un inviato del settimanale americano Time è andato all’ospedale di Bagdad a cercare Ali. Scoprendo che era ancora vivo. Time ha adottato Ali. Il direttore della rivista ha scritto una lettera aperta ai suoi lettori, sotto il titolo: «The boy in the photograph», il ragazzo nella foto. Perché poi, certo, ce ne saranno tanti altri di adolescenti ridotti come Ali, nell’Iraq della guerra che sta finendo, ma è chiaro che lui ne è diventato il rappresentante planetario. Da Jaipur, in India, Maharani Gayatri Devi, moglie di un notabile locale, si dichiara pronta a sostenere «ogni spesa necessaria per aiutare Ali». Il quotidiano britannico Daily Mirror ha già raccolto la somma di oltre 150 mila euro. Dall’Hampshire, dalla stessa clinica che operò la moglie dell’ex Beatle Paul McCartney, mandano a dire: «Lo curiamo noi». Però è il ministro della Sanità kuwaitiano Mohammed Al-Karallah che, ieri, ha dato una speranza concreta. «Prenderci cura di Ali è un nostro dovere umanitario». Serve un’ambulanza, serve un aereo militare. Ma qui, nel comando centrale alleato di As-Salyiah, nessuna sa niente. «Who is Ali?». Chi è Ali? 16 aprile 2003

L’avanzata preceduta da furiosi combattimenti per mettere a tacere le ultime sacche di resistenza dei feddayin di Saddam

TIKRIT (Iraq) – Carri armati americani si trovano nel centro di Tikrit. «Una ventina» di carri armati americani hanno preso posizione nel centro di Tikrit, come riferiscono testimonianze citate dalla France Presse. I carri si trovano sulla strada che viene da Kirkuk, subito oltre il ponte sul Tigri fortemente danneggiato dai bombardamenti. Sopra la città, quattro elicotteri americani volano a quota molto bassa. L’irruzione all’interno del perimetro cittadino di Tikrit era stata preceduta nella notte dalla ripresa di bombardamenti aerei a tappeto sull’intera zona e da furibondi combattimenti a terra tra le forze Usa e le ultime sacche di resistenza dei fedelissimi di Saddam, i feddayin, disposti a vendere cara la pelle. Anche per questo, pare, i vertici militari americani avevano respinto l’offerta di resa avanzata dai 22 capi delle tribù locali, che in cambio della preliminare cessazione dei raid aerei si erano detti disposti a negoziare con i paramilitari radicali affinché questi deponessero le armi, chiedendo due soli giorni di tempo. Fonti giornalistiche al seguito hanno riferito che all’avanzata su Tikrit, a circa 180 chilometri dalla capitale irachena, hanno preso parte 250 mezzi corazzati statunitensi. Negli scontri alla periferia sono stati uccisi almeno quindici miliziani; cinque loro carri armati sono andati distrutti. 14 aprile 2003

Incontro con la stampa del capo di stato maggiore . Gli Usa: «In Iraq le battaglie campali sono finite». Il generale Stanley McChrystal:«Ci saranno ancora solo scontri localizzati». Soldato americano ucciso a Bagdad dal fuoco amico

WASHINGTON – Le battaglie campali in Iraq sono finite. Lo ha detto il generale Stanley McChrystal, dello Stato Maggiore delle forze armate degli Stati Uniti, in un briefing al Pentagono. La resistenza irachena – ha precisato il generale – non si è organizzata in modo incisivo. Questo non significa – ha però aggiunto il generale – che i nostri soldati non saranno ancora impegnati in scontri localizzati.

FUOCO AMICO – E gli Usa devono segnare una nuova perdita in Iraq. Un soldato del quinto corpo dell’Esercito americano è stato ucciso da munizioni scaricate per errore vicino all’aeroporto di Bagdad. Lo ha reso noto il Comando centrale, aggiungendo che un altro soldato è rimasto ferito nell’incidente.

DUE PORTAEREI USA LASCIANO IL GOLFO – Due portaerei americane hanno ricevuto l’ordine di lasciare il Golfo nei prossimi giorni, per tornare nelle loro basi. Si tratta della Uss Kitty Hawk e della Uss Constellation, che torneranno rispettivamente nella base di Yokosuka, in Giappone, e di San Diego, in California. Dopo la partenza delle due navi, a bordo delle quali si trovano 75 caccia ciascuno, resterà nel Golfo solo la Uss Nimitz, mentre la Uss Theodore Roosevelt e la Uss Harry Truman continueranno a incrociare nel Golfo. 14 aprile 2003

Il ministro Rumsfeld: abbiamo visto test di armi chimiche. Powell: possibili provvedimenti contro Damasco. «Il Paese deve rivedere il suo comportamento sulle armi di sterminio». Fonti Usa:«La prima moglie del raìs è in Siria»

Gli Stati Uniti stanno esaminando possibili «misure economiche e diplomatiche» contro la Siria. Lo ha dichiarato il segretario di stato Colin Powell, affermando che negli ultimi giorni molti dirigenti del regime di Saddam, compresi alcuni inclusi nella lista dei 52 più ricercati dagli Usa, hanno cercato di trovare rifugio in Siria.

DUPLICE ACCUSA – «Spero che la Siria comprenda i suoi obblighi in questo nuovo ambiente che si è creato», ha ammonito Powell. Il segretario di Stato Usa ha sottolineato che la Siria deve «rivedere le sue azioni e il suo comportamento, non solo nei confronti del problema delle armi di sterminio ma anche nel sostegno al terrorismo». L’intervento di Powell segue alle accuse mosse ieri alla Siria dal presidente americano George W. Bush, che ha accusato Damasco di essere in possesso di armi chimiche, di nascondere sul suo territorio parte degli arsenali proibiti iracheni e di aver dato aiuto ad esponenti del regime di Saddam Hussein. La Siria si è detta pronta ad accettare eventuali ispezioni per accertare l’eventuale presenza di armi chimiche sul proprio territorio, negando in sostanza di avere questo genere di armi.

LE PROVE – A respingere la smentita siriana alle accuse americane ci ha pensato il segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld: «Abbiamo visto test di armi chimiche in Siria nel corso degli ultimi 12-15 mesi» ha detto ai giornalisti.

FLEISCHER AL LEADER SIRIANO – Anche il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, ha respinto il diniego della Siria: il portavoce del presidente George W. Bush ha detto che le affermazioni americane in tal senso sono «ben sostanziate». Fleischer ha definito il presidente siriano, Bashar el Assad, «un giovanotto» («young man») che deve capire il messaggio degli Stati Uniti e che deve decidere che posto la Siria vuole tenere nel mondo. Fleischer ha aggiunto che è «un leader che ha già dato prova di sé e che ha la possibilità di prendere le decisioni giuste». Il portavoce ha poi ripetuto gli inviti già rivolti alla Siria dal presidente George W. Bush e dal segretario di Stato Colin Powell: che non ospiti esponenti del regime di Saddam Hussein e che non si doti di armi di distruzione di massa bio-chimiche.

LA MOGLIE DEL RAIS – Al proposito, proprio in Siria si sarebbe rifugiata la prima moglie di Saddam Hussein. Lo hanno affermato, parlando in condizioni di anonimato, autorità della Difesa e di altri settori americani. Alcune notizie dicono che Sajida Khairallah Telfah sarebbe ora in Siria, altre notizie dicono che la donna potrebbe ora essere in altri Paesi non specificati. Non si sa al momento quando la donna ha lasciato l’Iraq. In precedenza, il 2 aprile, il ministro della Difesa, Donald H. Rumsfeld, aveva riferito notizie non confermate circa membri della famiglia del presidente iracheno fuggiti all’estero: tra questi la moglie di Saddam, Sajida Khairallah Telfah, che è anche sua cugina.

A NASSIRIYA PER IL DOPO SADDAM – Per quanto riguarda il dopo-Sadda,. al termine dell’incontro con il pari grado kuwaitiano, Sheikh Muhammad al-Sabah, Powell ha ricordato che martedì inizierà a Nassiriya il processo di formazione del nuovo potere politico iracheno. «Tutte le parti devono essere coinvolte, con l’impegno che il nuovo governo iracheno sia basato su principi democratici».

AIUTO USA PER RECUPERO MUSEO BAGDAD – Il segretario di Stato ha anche affermato che nel meeting «è stato discusso di nuovi programmi di pace in Medio Oriente» e di aver parlato anche di collaborazione per la ricostituzione del Museo di Bagdad, affermando di aver già contattato varie organizzazioni internazionali, e promettendo l’aiuto americano per il recupero delle opere d’arte rubate e per il restauro di quelle danneggiate.