PARLAMENTO. Nasce il Senato federale
La riforma della Costituzione prevede la nascita del Senato federale: sarà composto da 252 senatori eletti in ciascuna regione contestualmente all’elezione dei consigli regionali. La Camera subirà un taglio dei seggi dagli attuali 630 a 500. Alla Camera siederanno anche i deputati a vita, che prenderanno il posto dei senatori a vita. Sparirà il bicameralismo perfetto: Camera e Senato federale si occuperanno di argomenti diversi. Per esempio: una nuova legge dalla Camera non dovrà passare al Senato, il voto della Camera sarà definitivo.
ESECUTIVO. Cambiano i poteri del premier
Per l’insediamento il premier non avrà più bisogno della fiducia della Camera. I candidati premier saranno collegati con i candidati alla Camera: il capo dello Stato nominerà primo ministro il nome della coalizione vincente. Il premier avrà il potere di nominare e di revocare i ministri, e di sciogliere la Camera. Il capo dello Stato potrà sciogliere la Camera ma solo su richiesta del premier o in caso di morte o dimissioni o di voto di sfiducia
DEVOLUTION. Le Regioni avranno nuovi compiti
Le Regioni avranno potere legislativo esclusivo su sanità, scuola e polizia amministrativa regionale e locale. È stata prevista una clausola di interesse nazionale che prevede che il governo possa bloccare una legge regionale se ritiene che questa pregiudichi l’interesse nazionale
La patria perduta. Nuova Carta, in pericolo l’unità italiana
Riteniamo doveroso riportare l’articolo del prof. Galli della Loggia che finalmente spiega come si possa trasformare il Paese in una futura dittatura delle Regioni, in un Paese quando ormai tutti fanno quello che vogliono e la burocrazia non diminuisce, anzi è aumentata come sono aumentate le tasse e salito il costo della vita.
È impossibile nascondersi la gravità di quanto è accaduto ieri al Senato. Dopo la Camera, infatti, l’assemblea di Palazzo Madama ha approvato definitivamente in prima lettura una riforma della Costituzione italiana che distrugge alcuni aspetti caratterizzanti dell’organizzazione dello Stato repubblicano e modifica in profondità il funzionamento dei massimi organi del suo potere politico nonché lo schema dei loro rapporti.
Il panorama delle rovine è presto descritto. Viene estesa a dismisura, anche a campi delicatissimi come quello dell’istruzione e della sicurezza pubblica, la capacità legiferatrice delle Regioni: lo Stato centrale mantiene sì formalmente l’esercizio di un potere d’interdizione, ma in misura attenuata e così ambigua che l’unico risultato prevedibile è una crescita esponenziale del contenzioso Stato- Regioni, già oggi ben oltre il limite di guardia. Nell’ambito del potere centrale, poi, la fine dell’attuale bicameralismo perfetto serve ad installare un Senato di nuovo tipo – presentato come «federale» ma in realtà non eletto in rappresentanza delle Regioni in quanto tali, e con competenze ridotte rispetto ad una vera camera politica -e una Camera dei deputati sovrastata da un primo ministro eletto dal popolo ma che, in barba ad ogni logica costituzionale, potrà a certe condizioni essere sfiduciato dalla stessa ed avrà, insieme, il potere di scioglierla quando gli piacerà. Ciò che in conclusione la riforma costituzionale realizza-per giunta non subito ma, tanto per accrescere la confusione, in varie tappe scaglionate nel tempo – sarà un incrocio contraddittorio e micidiale di accentramento e decentramento, all’insegna dell’istituzionalizzazione della paralisi e dell’apoteosi del ricatto.
Del resto è solo per il ricatto continuo e minaccioso della Lega che l’onorevole Berlusconi e la destra hanno dato il via a un progetto simile. È esclusivamente, cioè, per il proprio immediato tornaconto politico che il presidente del Consiglio e altre forze della sua maggioranza, che al pari di lui non hanno mai manifestato alcun interesse per il federalismo, e anzi sono ideologicamente ai suoi antipodi come Alleanza nazionale, lo hanno improvvisamente abbracciato, accettando così cinicamente di mettere mano al disfacimento del Paese.
Perché di questo si tratta: la riforma della Costituzione voluta dal governo e dalla sua maggioranza costituisce forse il più grave pericolo che l’unità italiana si trova a correre dopo quello terribile corso sessant’anni orsono nel periodo seguito all’armistizio dell’8 settembre. Mentre in misura altrettanto forte sono in pericolo la funzionalità e l’efficienza della direzione politica dello Stato da un lato, e dall’altro alcuni valori di fondo della nostra convivenza, non più garantiti da una tutela pubblica affidabile.
Di fronte a questa prospettiva inquietante, non ci sembra che abbia molto senso unire la nostra voce al coro di quelli che, sia pure con qualche ragione, mettono sotto accusa le responsabilità anche della sinistra per aver aperto la porta al disastro attuale approvando, con una ristrettissima maggioranza, le modifiche del Titolo V della Costituzione nella scorsa legislatura. Anche nelle responsabilità c’è una gerarchia, e oggi quello che appare in modo indiscutibile è il primo posto guadagnato dalla destra e dal suo capo nella corsa a fare il male del Paese. Per realizzare il misfatto hanno bisogno però del consenso dei cittadini nel referendum confermativo da qui ad un anno o quando sarà: vedremo allora se gli italiani sono davvero stanchi di avere una Costituzione e una patria.