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Lista del patrimonio dell’umanità tutelata dall’unesco. Lista dei siti italiani (parte seconda)

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Il Patrimonio. Dal passato per l’avvenire. Cos’è il “patrimonio” ? – Cosa rende il “patrimonio mondiale” unico? La differenza tra “patrimonio mondiale” e “patrimonio nazionale”. Il patrimonio è l’eredità del passato, di cui approfittiamo oggi e che trasmetteremo alle generazioni future. I nostri patrimoni culturale e naturale sono due sorgenti insostituibili di vita e d’ispirazione. Sono le nostre pietre di paragone, i nostri punti di riferimento, gli elementi della nostra identità. Ciò che rende eccezionale il concetto di patrimonio mondiale è la sua applicazione universale. I siti del patrimonio mondiale appartengono a tutte le popolazioni del mondo, senza tenere conto del territorio su cui sono situati. Come può un sito del patrimonio mondiale in Egitto “appartenere” ugualmente agli Egiziani e ai popoli dell’Indonesia o dell’Argentina?

La risposta si trova nella Convenzione riguardante la protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale per la quale i paesi riconoscono che i siti che si trovano sul loro territorio nazionale, e che sono stati scritti sulla Lista del patrimonio mondiale, costituiscono, senza pregiudizio della sovranità nazionale e dei diritti di proprietà, un patrimonio mondiale la protezione del quale “compete alla comunità internazionale tutta intera”. Senza il sostegno di altri paesi, alcuni siti che possiedono un valore culturale o naturale riconosciuto si sarebbero deteriorati, o sarebbero addirittura scomparsi, sovente per mancanza di fondi per preservarli. La Convenzione è dunque un accordo, firmato finora da 159 paesi che s’impegnano a contribuire finanziariamente e intellettualmente alla protezione del patrimonio mondiale. Quale è la differenza tra un sito del patrimonio mondiale e un sito del patrimonio nazionale? La risposta è nell’espressione “valore universale eccezionale”. Tutti i paesi possiedono dei siti d’interesse locale o nazionale che suscitano a giusto titolo la fierezza nazionale, e la Convenzione incoraggia i paesi a identificarli ed a proteggerli, sia che siano iscritti o no sulla Lista del patrimonio mondiale.

I siti selezionati per costituire il patrimonio mondiale sono scelti per le loro qualità, essendo i migliori esempi possibili del patrimonio culturale e naturale che rappresentano. La Lista del patrimonio mondiale attira l’attenzione sulla ricchezza e la diversità del patrimonio culturale e naturale del pianeta.

I siti italiani. Il patrimonio dell’umanità. L’UNESCO ha redatto una lista di località che sono patrimonio dell’umanità, sia per la loro importanza culturale che per quella naturalistica. Si esaminano qui solo quelli relativi all’Italia.

Prima Parte: SANTA MARIA DELLE GRAZIE E CENACOLO DI LEONARDO; ARTE RUPESTRE DELLA VALCAMONICA; CENTRO STORICO DI ROMA. Seconda Parte: CENTRO STORICO DI FIRENZE; VENEZIA E LA SUA LAGUNA; PIAZZA DEL DUOMO DI PISA; SAN GIMIGNANO; I SASSI DI MATERA; VICENZA: CITTA’ DEL PALLADIO; CENTRO STORICO DI NAPOLI; CENTRO STORICO DI SIENA. Terza parte: FERRARA: CITTA’ DEL RINASCIMENTO; CRESPI D’ADDA; CASTEL DEL MONTE; I TRULLI DI ALBEROBELLO.

CENTRO STORICO DI FIRENZE

FIRENZE

I MOTIVI DELLA SCELTA

FIRENZE SI VANTA DI POSSEDERE, SECONDA SOLA A ROMA, LA MAGGIOR CONCENTRAZIONE DI OPERE D’ARTE DEL MONDO. AL DI LÀ DELLE STATISTICHE, È INNEGABILE CHE IL CENTRO STORICO DELLA CITTÀ RACCHIUDE UN GRAN NUMERO DI PALAZZI, CHIESE E MUSEI CHE RIVALEGGIANO FRA LORO PER ORIGINALITÀ E BELLEZZA, OLTRE CHE PER IL PRESTIGIO DEGLI ARCHITETTI E DEGLI ARTISTI CHE LI PROGETTARONO E DECORARONO. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1982. FIRENZE CONSERVA NUMEROSE TESTIMONIANZE DEL SUO PASSATO ROMANO, COME L’AMPIO CAMPIDOGLIO, IL FORO, IL TEMPIO CONSACRATO A ISIDE, DUE TERME, UN TEATRO, UN ANFITEATRO E DUE BASILICHE PALEOCRISTIANE. LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO BLOCCÒ A TAL PUNTO LO SVILUPPO DELLA CITTÀ, CHE DURANTE L’EPOCA CAROLINGIA IL SUO PERIMETRO COINCIDEVA ANCORA CON QUELLO ROMANO. MA ALL’ALBA DEL SECONDO MILLENNIO LA CITTÀ TORNÒ A FIORIRE, GRAZIE ALL’INIZIATIVA E ALLO SPIRITO LABORIOSO DEI SUOI ABITANTI, IN MODO PARTICOLARE DELLA CORPORAZIONE DEI TESSITORI.

Ottenuta la piena indipendenza nel 1115, Firenze si era intanto notevolmente ingrandita, e di conseguenza erano cambiate le necessità della popolazione sempre più numerosa, cosicché nel 1172 venne tracciato un nuovo e più ampio perimetro murario. Nel 1197 Firenze entrò a far parte dell’alleanza toscana contro il potere imperiale, legando, da quel momento in poi, il suo destino con quello della Toscana. Il XIII secolo fu contrassegnato dalle continue lotte tra guelfi e ghibellini, e la prima metà del XIV dagli scontri tra bianchi e neri. Una tale situazione produsse un particolare tipo di architettura “difensiva”, caratterizzata da solide case-torri, dotate di logge e balconi che ne alleggerivano la struttura e di piccole mensole il cui unico scopo era quello di sostenere i barbacani di difesa. L’espansione della città continuò inarrestabile e già nel 1284 le mura erette un secolo prima rischiavano di soffocare lo sviluppo urbanistico. Venne quindi edificata una nuova cerchia muraria, lunga 8,5 chilometri, che contenne ogni ulteriore ampliamento fino al secolo XIX.

SAN LORENZO E SAN MINIATO AL MONTE

La chiesa più antica di Firenze è quella di San Lorenzo, consacrata da Sant’Ambrogio nel 393 e riedificata a partire dal 1421 dal grande architetto e scultore Brunelleschi. La facciata, grezza e incompiuta, fu solo ideata da Michelangelo, che si dedicò invece alla realizzazione della Sagrestia nuova. L’interno della chiesa, a croce latina, è percorso da tre navate: pregevoli il soffitto a cassettoni della navata mediana e i pulpiti in bronzo di Donatello. La Sagrestia vecchia, elevata espressione architettonica del Brunelleschi, è impreziosita da numerose opere sempre di Donatello. La Sagrestia nuova, eseguita in pietra serena e intonaco bianco, accoglie gli splendidi sepolcri medicei realizzati da Michelangelo, al quale si deve anche la Madonna con il Bambino. San Miniato al Monte sorge su una piccolo colle che domina la città, e vi si accede tramite una scalinata monumentale citata anche da Dante nella Divina Commedia. La basilica, costruita tra l’XI e il XIII secolo, possiede la perfezione e l’essenzialità delle grandi, irripetibili opere d’arte. La ricca bicromia dei marmi bianco e verde di Prato, la geometrica successione dei motivi ornamentali fanno della facciata una delle più alte espressioni del romanico fiorentino. L’interno, a triplice ripartizione delle navate, è suggestivo e ricco di preziose opere d’arte. Contribuiscono ad accrescere l’alone mistico di San Miniato le sue finestre chiuse con lastre di alabastro anziché con vetri, di modo che i raggi del sole, attraversandole, le fanno sembrare incandescenti, quasi vi fosse un “fuoco dietro all’alabastro”.

IL “BEL SAN GIOVANNI”, SANTA MARIA DEL FIORE E IL CAMPANILE

La definizione “Bel San Giovanni” venne utilizzata da Dante nella Divina Commedia per definire il battistero di Firenze. Secondo la tradizione, l’edificio deriverebbe da un tempio dedicato a Marte, al quale venne aggiunto un tempietto sormontato da una sfera e una croce d’oro. Non si conosce, con esattezza la data di inizio dei lavori, ma è certo che il battistero venne usato come cattedrale fino al 1128. L’armonioso interno, a pianta ottagonale, è privo di finestre e riceve luce solamente dall’occhio della cupola. L’esterno, ornato da archi e paraste, si distingue per i motivi geometrici restituiti dalle bicromie dei marmi bianchi e verdi. Di grande interesse le tre porte in bronzo; la più celebre è quella a est, definita da Michelangelo “Porta del Paradiso”, capolavoro quattrocentesco del Ghiberti. Santa Maria del Fiore, cattedrale di Firenze, iniziata nel 1296 dal grande architetto Arnolfo di Cambio, è caratterizzata da una struttura tipicamente gotico- toscana su cui poggia la celeberrima cupola del Brunelleschi. L’artista concepì per la cattedrale un coronamento semplice eppure grandioso, verticale ma armonioso, e lo innalzò, a partire dal 1420, sulle tribune ottagonali all’intersezione delle navate con il transetto. Uniche decorazioni sono le bianche nervature, che risaltano sulla copertura in cotto della cupola, e la splendida lanterna. Di fronte alla cattedrale sorge il campanile, una delle creazioni di Giotto, il quale, pur dedicandosi soprattutto alla pittura, fu anche un grande architetto. La costruzione, che poggia su un basamento rettangolare, possiede la snellezza dell’architettura gotica, mentre il rivestimento policromo si armonizza con quello della cattedrale. Il basamento presenta una trama ornamentale ben distinta: a una prima fascia, impreziosita da bassorilievi di Andrea Pisano e Luca della Robbia, fa seguito una seconda fascia con figure allegoriche. In alto si aprono delle nicchie con statue di Profeti e Sibille. Arnolfo di Cambio, architetto della cattedrale e autore del piano urbanistico di Firenze nel 1284, lasciò alla città anche altre opere degne di menzione, come la chiesa di Santa Croce e Palazzo Vecchio o della Signoria. Quest’ultimo, iniziato nel 1299 e destinato ad ospitare il governo della città, è il principale monumento dell’architettura civile di Firenze: la sua scenografica imponenza è enfatizzata dal coronamento merlato sul quale svetta la ghibellina torre d’Arnolfo (XIV secolo). Il cortile, cinto da portici, fu rimaneggiato da Michelozzo nel 1470 e arricchito con ampia profusione di ornamenti da artisti guidati dal Vasari (1565). L’interno del palazzo, improntato dalle ristrutturazioni vasariane, presenta ambienti notevolissimi, come il Salone dei Cinquecento, impreziosito da arazzi, e la Sala dell’Udienza.

I PALAZZI FIORENTINI

La prosperità economica di cui godeva Firenze permise alle grandi famiglie di costruire sontuosi palazzi secondo il più puro stile rinascimentale. Fu così che nacquero Palazzo Pazzi, attribuito a Giuliano da Maiano; Palazzo Rucellai, opera di Leon Battista Alberti; Palazzo Strozzi, con la magnifica facciata di Benedetto da Maiano, e il Palazzo Medici-Riccardi, la residenza dei Medici, opera del Michelozzo. Una speciale menzione merita Palazzo Pitti, situato sulla riva sinistra dell’Arno, disegnato nel 1440 in forme semplici e grandiose, dal Brunelleschi per conto del mercante Luca Pitti. L’edificio presenta una facciata lunga 205 metri e copre una superficie totale di oltre 30.000 metri quadrati. Attraverso l’atrio si accede allo splendido cortile che conduce alla terrazza, ornata dalla cinquecentesca fontana del Carciofo e da due figurazioni scultoree di Ercole. Poco oltre si apre il magnifico spettacolo del Giardino dei Boboli, tipico esempio di giardino all’italiana, in un susseguirsi di spazi verdi, suggestivi ambienti, viali ornati da statue, grotte e meravigliosi punti panoramici con vedute della città. Oggi nelle sale di Palazzo Pitti è ospitata un’insigne galleria d’arte con capolavori di pittori come il Perugino, Botticelli, Tintoretto, Ghirlandaio, Luca Signorelli, Andrea del Sarto, Raffaello, Tiziano, Van Dyck e Velàzquez, solo per citarne alcuni. Il complesso dei capolavori architettonici, uniti all’incalcolabile tesoro artistico conservato a Palazzo Pitti, alla Galleria degli Uffizi e al Museo Nazionale del Bargello, fanno di Firenze non solo la capitale del Rinascimento, ma un autentico museo vivente.

VENEZIA E LA SUA LAGUNA

VENEZIA

I MOTIVI DELLA SCELTA

C’È CHI LA CONSIDERA LA CITTÀ PIÙ BELLA DEL MONDO E CHI, SEMPLICEMENTE, UNA CITTÀ “IN VIA DI ESTINZIONE”, MA NESSUNO POTRÀ MAI NEGARE A VENEZIA IL PRIVILEGIO DELLA SUA UNICITÀ. NESSUN’ALTRA CITTÀ, INFATTI, HA MAI VISSUTO IN COSÌ STRETTA SIMBIOSI CON IL MARE, CHE DA SECOLI LA CINGE IN UN ABBRACCIO APPASSIONATO E SOFFOCANTE; NESSUNA È STATA CAPACE DI CREARE TANTA STORIA E TANTA BELLEZZA SU FONDAMENTA COSÌ FRAGILI; NESSUNA HA MAI LEGATO LA PROPRIA ESISTENZA A UN EQUILIBRIO NATURALE COSÌ DELICATO, SEMPRE IN BILICO TRA PERFEZIONE E CATASTROFE. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1987 VENEZIA È INDUBBIAMENTE UNA DELLE PIÙ GENIALI CREAZIONI DELL’UOMO, MA LA MAGIA DEL PAESAGGIO CHE LA CIRCONDA E CHE L’HA RESA UNICA È FRUTTO DI UNA SERIE DI FATTORI GEOLOGICI, INDIPENDENTI (ALMENO NEL LORO EVOLVERSI PRIMA DELLA PRESENZA DELL’UOMO) DALLE VICENDE STORICHE.

La costa nordorientale italiana è infatti bassa e sabbiosa, con forte tendenza a sprofondare sempre più. Su di essa sfociano inoltre fiumi di ampia portata carichi di sedimenti. Parte di questi ultimi tende a depositarsi nei punti in cui la corrente dei fiumi viene contrastata dalle maree, formando lunghe strisce di sabbia paralleli alla costa, chiamate lidi.

I RIFUGIATI DEL RIALTO

Nel corso del tempo, tra i lidi e la costa si formarono ampie lagune di acque tranquille, dove i depositi sedimentari crearono una serie di isole e isolotti. Saldandosi tra loro, i lidi provocarono la chiusura completa delle lagune. Sulle isole di una di queste fu fondata nel V secolo la città di Venezia e, a partire da allora, storia e geologia iniziarono a influenzarsi vicendevolmente. Infatti, oggi Venezia sarebbe una città di terraferma – come Ravenna – se i suoi abitanti non si fossero impegnati a impedire che la laguna si prosciugasse con laboriose opere di ingegneria volte a deviare i corsi dei fiumi Piave e Brenta. Allo stesso tempo, anche la striscia litorale venne protetta dall’erosione marina con la costruzione di una poderosa muraglia prima in legno e poi in pietra, i murazzi. Per i Veneziani la difesa della laguna, che fu prima la loro salvezza e poi la loro fortuna, è sempre stata fondamentale. Secondo quanto narrano le cronache, tutto iniziò nel V secolo d.C. con l’arrivo di Attila e delle orde unne. Per sottrarsi alle scorrerie, gli abitanti della zona costiera si rifugiarono sulle isole della laguna. Sorsero così diversi insediamenti: all’inizio i più importanti furono Grado, Eraclea e Torcello, mentre il gruppo di isolotti della futura Venezia, posto al centro della laguna, ospitò solamente qualche villaggio di pescatori. Tuttavia, con il passare del tempo questa ubicazione si rivelò decisiva. Nell’812, a causa dell’incombente minaccia dei Franchi, fu infatti deciso il trasferimento della residenza del Dux, guida politica della comunità lagunare, a Rialto, l’isola sulla quale pochi anni dopo verrà iniziata la costruzione della prima basilica di San Marco.

LA REGINA DEI MARI

Le relazioni con Bisanzio segnarono la nascita della Serenissima Repubblica di Venezia e della sua particolare struttura politica. Nel VI secolo tutta la regione venne infatti annessa ai domini bizantini d’Italia e le località della laguna passarono quindi sotto il controllo di tribuni eletti dall’esarca di Ravenna fra l’aristocrazia locale. La figura del Dux nacque più tardi, essendo anch’egli inizialmente nominato dall’esarca, poi dai tribuni e dal clero. Verso la metà dell’VIII secolo l’insieme delle isole era praticamente già retto da un’oligarchia presieduta, ma non governata, da un Dux, titolo latino che si tramuterà presto in doge. Questi, a sua volta, si dichiarava suddito dell’Imperatore di Bisanzio, sebbene, in realtà, i legami con la lontana metropoli si facessero sempre più tenui. Il vincolo con Bisanzio impresse in ogni caso su Venezia il marchio dell’Oriente. Le attività commerciali che l’avrebbero resa potente durante tutto il Medievo si svilupparono verso l’Oriente, e dall’Oriente giunsero a Venezia – e da qui in tutta Europa – mode. Costumi e stili artistici. I Veneziani, dopo aver utilizzato il mare come mezzo di difesa, impararono a sfruttarlo come risorsa economica e non c’è quindi assolutamente da meravigliarsi che una relazione così intensa si concludesse con un matrimonio. Così, fin dal 1172, ogni anno si celebra a Venezia lo sposalizio con il mare, in ricordo della cerimonia simbolica durante la quale il doge gettava in acqua un anello d’oro come simbolo dell’unione fra la città e il suo ambiente naturale. Nel 1204 la conquista di Costantinopoli da parte degli eserciti della quarta crociata permise a Venezia si annettersi buona parte dei territori che ancora facevano parte dell’Impero Bizantino, formando così un vasto dominio commerciale. Durante gli ultimi decenni del secolo, un mercante veneziano di nome Marco Polo aprì una nuova rotta commerciale verso l’Oriente, raggiungendo la Cina. La Serenissima continuò a prosperare fino a quando l’espansione dell’Impero Ottomano da una parte e l’apertura delle nuove rotte atlantiche dall’altra, segnarono, fra il XV e il XVI secolo, l’inizio della parabola discendente.

L’EVANGELISTA E IL LEONE

Nell’828 due mercanti veneziani trasportarono nella città da poco fondata i resti mortali dell’evangelista Marco. Per poterli accogliere degnamente si iniziò a edificare, accanto al palazzo dei dogi, la prima basilica, andata distrutta nel 976. La costruzione dell’attuale complesso cominciò verso la metà dell’XI secolo. Per i Veneziani, San Marco fu fin dall’inizio non solo un patrono, ma l’immagine stessa della loro prosperità. Il leone alato, emblema dell’evangelista, divenne ben presto il simbolo di tutta la città, presente in ogni suo angolo, dipinto sulle pareti e scolpito sulla pietra. La bandiera del leone campeggiava sulle galere veneziane che solcavano il Mediterraneo, mentre i mercanti rivaleggiavano tra loro per portare in città gli oggetti più rari e preziosi per decorare la basilica. Essa divenne così il gioiello che oggi conosciamo, splendente di mosaici e marmi preziosi che incorniciano, tra gli altri capolavori, la celebre Pala d’oro posta dietro l’altare maggiore. Splendido esempio di oreficeria veneto-bizantina dei secoli X-XIV, essa è formata da riquadri in lamina d’oro ornati di smalti e montati su una finissima cornice.

PALAZZI E PALAZZOTTI

Paradossalmente, proprio all’inizio della decadenza politico-economica, nel XVI secolo, Venezia viveva il suo apogeo artistico. La città aveva infatti raggiunto la sua massima estensione, occupando 118 isolotti strettamente uniti tra loro grazie a un intricato sistema di ponti, calli e rii. Il Palazzo Ducale, sede del governo della Serenissima, aveva già raggiunto il suo aspetto definitivo: capolavoro del gotico veneziano, si caratterizza per l’audace struttura, porticata in basso e compatta nella parte superiore, e per la levità delle superfici rivestite di marmo bianco e rosa. Lungo il Canal Grande, dove il vecchio ponte levatoio in legno di Rialto era già stato sostituito da quello – splendido – in muratura, sorgevano le residenze delle grandi famiglie patrizie: si pensi alle delicate filigrane gotiche della Ca’ Foscari e della Ca’ d’Oro, ai due palazzi – quello medievale e quello rinascimentale – dei Grimani e al grandioso classicismo di Palazzo Corner, meglio conosciuto come Ca’ Granda. Insigni pittori, come il Tintoretto, Tiziano e il Veronese, intingevano i loro pennelli nella soffice luce delle tenui sfumature della città sull’acqua per creare opere immortali. Ma tanta bellezza era costata immani sforzi. Per sostituire con palazzi in muratura le primitive case di legno, costruite su palafitte, i Veneziani dovettero far ricorso a tutto il loro ingegno, rendendo compatti i fondali della laguna con pietre e tronchi e costruendo sotto il livello dell’acqua piattaforme in legno fissate a grossi pali saldamente piantati nel fondale fangoso.

SALVARE VENEZIA

E’ incredibile come la città sia riuscita a sopravvivere su fondamenta così fragili. Quando, nel 1966, un’eccezionale inondazione travolse la città provocando gravi danni, il mondo intero si rese conto della serietà dei pericoli che da sempre minacciano Venezia. Da allora innumerevoli esperti di tutto il mondo, sotto l’egida dell’UNESCO, non hanno smesso un solo momento di lavorare per trovare soluzioni adeguate e definitive, ma nessuna è riuscita a ovviare alla drammatica provvisorietà della laguna, come se quello stesso mare che favorì la nascita di Venezia e in seguito la rese grande e meravigliosa, reclamasse infine i suoi diritti coniugali, pronto a ghermire la città per trasformarla in una creatura marina.

PIAZZA DEL DUOMO DI PISA

PISA

I MOTIVI DELLA SCELTA

PISA, CULLA DI GRANDI ARTISTI E SCIENZIATI, PER SECOLI E SECOLI HA RIEMPITO DI MERAVIGLIA I VIAGGIATORI PER L’UNICITÀ DEI GIOIELLI ARCHITETTONICI DEL SUO CAMPO DEI MIRACOLI, MAGNIFICO INSIEME DI CAPOLAVORI DEL MEDIOEVO TOSCANO. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1987 LA TOSCANA È UNA RICCA REGIONE AGRICOLA, DAL CLIMA MITE E DALLE DOLCI COLLINE ONDULATE, PUNTEGGIATE QUA E LÀ DA RADI BOSCHETTI O DA FILARI DI SNELLI CIPRESSI, CHE SI AFFACCIA AL MAR TIRRENO CON UNA COSTA PREVALENTEMENTE BASSA. LA CITTÀ DI PISA, SORTA ALLA FOCE DELL’ARNO, IL FIUME CHE ATTRAVERSA LA TOSCANA RENDENDOLA FERTILE CON LE SUE ACQUE, RAGGIUNSE IL SUO MASSIMO SPLENDORE FRA L’XI E IL XIV SECOLO, MA I MOTIVI DELLA SUA GRANDEZZA PRESCINDONO DALLA RICCHEZZA DEL SUO ENTROTERRA.

Alla fine del I millennio dell’era cristiana le navi pisane cominciarono a compiere viaggi in tutto il Mediterraneo. Durante quegli anni la Repubblica Marinara di Pisa non si limitò a fondare colonie e basi commerciali in Oriente, ma prese parte a molti saccheggi, i cui bottini contribuirono ad arricchire la città. La più avventurosa delle spedizioni pisane fu la conquista e il saccheggio di Palermo, che nel 1063 procurò a Pisa incalcolabili tesori: l’entusiasmo che pervase tutta la città culminò in un progetto molto ambizioso, la costruzione di una cattedrale.

MODELLI CLASSICI PER IL DUOMO

Pur non esistendo alcuna certezza storica, la tradizione vuole che le colonne di granito levigato del duomo di Pisa facessero parte del famoso bottino di Palermo. Si sa invece per certo che i Pisani collaborarono generosamente alla sua costruzione, al cui progetto lavorò l’architetto Buscheto di Giovanni Giudice. Egli scelse per la propria opera un luogo piuttosto singolare, e cioè un grande spiazzo delimitato, a partire dal XII secolo, dalle mura della città, dall’ospedale della Misericordia e dal Palazzo dell’Arcivescovo. Anticipando sorprendentemente le concezione del Rinascimento, Buscheto volle che la sua opera facesse parte di un nuovo ordine urbanistico, estraneo alla vecchia città, e che gli permettesse di trattare allo stesso tempo il progetto architettonico e lo spazio circostante. La pianta del duomo di Pisa, insigne esempio dello stile romanico pisano, è a croce latina e a cinque navate sostenute da colonne monolitiche dell’XI secolo, anziché pilastri, elementi dominanti nell’architettura dell’epoca. Tale caratteristica, mutuata dalle grandi basiliche di Roma che Buscheto ben conosceva, non era cosa rara in Italia, dove l’ancora forte sopravvivenza classica impedì il pieno sviluppo dei grandi stili architettonici medievali impostisi in Europa settentrionale. La copertura del Duomo è costituita da un soffitto a cassettoni nella navata centrale e da volte a croce nelle navate laterali, mentre l’unica concessione all’allora imperante stile cluniacense è la presenza della cupola impostata sul transetto. La perfezione formale dell’edificio porta spesso a dimenticare la sua vetustà: la chiesa venne infatti consacrata nel 1118 e terminata verso la fine del secolo. La bellissima facciata, progettata da Rainaldo, è scandita da quattro oridni di logge ed è coronata da statue. L’ordine inferiore, con archi ciechi sorretti da colonne addossate alla parete, presenta decori geometrici – ottenuti grazie all’alternanza di marmi scuri, bianchi e venati – e mosaici. I fianchi, impreziositi da suggestive arcate, la superba cupola, la squisita abside con loggia, restituiscono accenti di evocativa suggestione architettonica.

LA TORRE PENDENTE, UNICUM MONDIALE

Il duomo condivide il magico spazio di Piazza dei Miracoli con altri tre edifici del tutto singolari: il Battistero, il Camposanto Monumentale e il campanile, meglio conosciuto come Torre Pendente. Le quattro costruzioni formano un armonioso complesso monumentale, veramente unico nell’ambito dell’architettura medievale europea. Il campanile, iniziato nel 1173 dal maestro Buonanno Pisano, cominciò a pendere a causa del cedimento del terreno quando era stato completato il terzo anello. Nonostante questo “inconveniente”, si decise di terminare la costruzione anziché demolirla e ricominciare da capo su un terreno più solido. L’inclinazione è andata aumentando durante il corso dei secoli e oggi ha raggiunto un punto tale da rendere necessari la chiusura del monumento al pubblico e l’avvio di una serie di opere di consolidamento della fondamenta che dovrebbero scongiurare il pericolo di un improvviso crollo. Certamente, dal punto di vista degli storici d’arte, la pendenza della Torre è un aspetto assolutamente secondario, ma è indubbio che proprio a questa caratteristica il monumento debba la sua fama universale. A pianta circolare, la Torre presenta arcate cieche romaniche alla base e sei suggestivi ordini di logge, progettati come belvedere sulla piazza sottostante. Il settimo piano, destinato alla cella campanaria, è di diametro inferiore, con una serie di colonne accoppiate addossate alla parete e archi a tutto sesto. Pur non godendo di uguale fama, il Battistero merita comunque lo stesso interesse della Torre. Si tratta di una grandiosa realizzazione romanica a pianta circolare, architettonicamente improntata dalle arcate cieche sovrastate da una loggia coronata da cuspidi traforate ricche di sculture. Più in alto vi è un giro di bifore sormontato da elementi decorativi triangolari, sopra i quali s’imposta la calotta culminante nella statua di bronzo del Battista. Il Battistero venne progettato da Diotisalvi, che ne iniziò i lavori nel 1152. Questi furono ripresi nel 1260 da Nicola Pisano, mentre il figlio Giovanni si occupò dei decori esterni. Particolarmente ricco è il portale prospiciente la cattedrale, con preziosi rilievi che rappresentano Gesù, la Vergine, il Battista e gli Evangelisti.

IL CAMPOSANTO MONUMENTALE

L’ultimo dei capolavori del Campo dei Miracoli è il Camposanto Monumentale, realizzato da Giovanni di Simone a partire dal 1278. Le pure linee del romanico pisano denotano sovrapposizioni gotiche; all’interno l’ampio quadriportico, che racchiude la Terra Santa qui trasportata dalla flotta pisana di ritorno dalle crociate, richiama i tratti di un’imponente basilica priva di copertura. Il Camposanto fu terminato soltanto nella seconda metà del XV secolo, mentre la cappella Dal Pozzo fu aggiunta verso la fine del XVI secolo. Una speciale citazione merita il Salone degli Affreschi, fra i quali spicca Il trionfo della morte, opera di un maestro anonimo, probabilmente eseguito alla fine del XIV secolo. Impressionante è la drammaticità del tema, che oppone la vita spensierata di alcuni giovani gentiluomini alla triste realtà della morte, rappresentata da vari sepolcri aperti.

SAN GIMIGNANO

SAN GIMIGNANO

I MOTIVI DELLA SCELTA

LO STRAORDINARIO INTERESSE DI SAN GIMIGNANO STA NON SOLO NELLA SUA SINGOLARE BELLEZZA DI BORGO TOSCANO INSERITO IN UN VERDE PAESAGGIO, MA NELLA STRUTTURA DELL’INSIEME URBANO E NEL SUO STRETTO COINVOLGIMENTO NELLE VICENDE STORICHE DELLA TOSCANA. LA SUA IMPORTANZA NEL MIEDIOEVO È TESTIMONIATA DALLA PRESENZA DELLE MOLTE TORRI E CASE-TORRI CHE SVETTANO ANCORA NEL CENTRO STORICO. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1990. SAN GIMIGNANO SI ANNUNCIA CON IL PROFILO DELLE ORGOGLIOSE TORRI CHE DOMINANO LE SUE CASE, AMMASSATE SUI TRE RILIEVI DI UN COLLE. QUESTO BORGO MEDIEVALE SORGE NON LONTANO DA SIENA IN UNA POSIZIONE STRATEGICA, A TRECENTO METRI DI ALTITUDINE NELLA VALLE DEL FIUME ELSA

La città si sviluppò nei pressi di un crocevia che raggiunse la massima importanza tra il IX e l’XI secolo: l’asse principale era la via Romea, che collegava Roma alle province transalpine e che in Val d’Elsa incontrava la via Pisana. Il nucleo primitivo sorse fra i due punti di riferimento più vicini all’incrocio, la collinetta della Torre, dove sarebbe stato edificato il castello vescovile, e Montestaffoli, futura sede del potere secolare. La cittadina raggiunse ben presto un’invidiabile prosperità economica, che cominciò a riflettersi nell’orgogliosa dignità degli edifici. Già nel 949 San Gimignano era designata borgo e, appena cinquant’anni dopo, proprio sul finire del millennio, veniva costruita una possente muraglia difensiva che circondava tutta la città e includeva anche un tratto della via Romea. Le aperture verso l’esterno si riconducevano all’arco della Cancelleria sul lato nord, quello dei Becci a sud, la porta Santo Stefano a est e la garitta di Montestaffoli a ovest, oggi scomparsa. Fra l’XI e il XII secolo, la cittadina, sotto la protezione del potere vescovile, continuò a crescere e a prosperare. Sono di questo periodo la collegiata, iniziata nel 1056, e la nascita fuori porta di due piccoli nuclei urbani, San Giovanni e San Matteo, sorti entrambi ai lati della via Romea, che furono incorporati nella città grazie a un secondo giro di mura eretta all’inizio del XII secolo. In questo modo la struttura di San Gimignano prende la forma a croce: un asse è formato dalla via Romea e l’altro dall’unione fra i due borghi incorporati. A partire dal 1247 iniziarono a insediarsi in città gli ordini mendicanti, che furono propulsori della costruzione di varie chiese, come quella di San Francesco, e di altri importanti monumenti. San Gimignano, sempre più ricca grazie alle sue fiorenti attività – fra le quali spiccava per importanza la produzione di zafferano, che veniva esportato anche in Francia e nei Paesi Bassi – raggiunse in questo periodo il suo massimo splendore.

REGOLE URBANISTICHE MEDIEVALI

Fu allora che venne costruita tutta una serie di opere comunali, come fontane e piazze, attorno alle quali sorsero immediatamente edifici maestosi, quali il palazzo del Podestà, sulla piazza del Duomo, e la chiesa di San Lorenzo. Nello stesso periodo (1251) venne incluso nel recinto murario il primitivo borgo di Montestaffoli, fatto indicativo dello sviluppo raggiunto a quell’epoca da San Gimignano. Esistevano ben nove foresterie destinate ai mercanti che quotidianamente arrivavano in città e, per quanto riguardo la popolazione stabile, ogni famiglia di una certa importanza cercava di dimostrare il proprio prestigio erigendo una torre accanto alla propria casa: queste agili costruzioni, oggi per la maggior parte scomparse, raggiunsero la cifra di 72. Il problema dell’eccessiva concentrazione di edifici si fece sentire in modo sempre più impellente, tanto che le autorità comunali furono costrette a promulgare una serie di regolamenti che limitavano le dimensioni delle nuove costruzioni: un edificio non poteva superare le 17 braccia di fronte e le 24 di profondità, mentre le torri non potevano superare l’altezza della Rognosa (la torre del palazzo del Podestà), che era di 50,92 metri. All’inizio del XIV secolo le lotte fra guelfi e ghibellini causarono una grave crisi economica che, accompagnata dalla tremenda epidemia di peste che decimò la popolazione nel 1348, mise fine alla potenza di San Gimignano.

AL COSPETTO DELLA ROGNOSA

Se osserviamo una pianta attuale della città, vediamo come San Gimignano si allunghi per circa 800 metri dall’antico convento di Sant’Agostino fino alla porta San Giovanni e come l’asse principale, ovvero l’antica via Romea, corrisponda alle strade di San Giovanni e di San Matteo, includendo le piazze del Duomo e della Cisterna. Via San Giovanni va dall’arco dei Becci fino alla porta San Giovanni, indubbiamente la più interessante fra quelle cittadine per il suo arco ribassato in stile senese, mentre via San Matteo parte da piazza del Duomo e termina sotto la porta San Matteo. Le mura che proteggono il nucleo più antico della cittadina di San Gimignano con le sue famose torri hanno un perimetro di 2177 metri, lungo il quale si alternano cinque torrioni cilindrici. La piazza della Cisterna deve il nome alla cisterna costruita nel 1273, e ampliata nel 1346, per raccogliere l’acqua piovana. Su questa piazza dalla forma triangolare sorgono le torri gemelle degli Ardinghelli, la torre Becci e il palazzetto Razzi con la sua torre. Più a nord troviamo il palazzo Cortessi con la bella torre del Diavolo e il palazzo Lolli, che apre il passo alla piazza del Duomo, dominata dal palazzo del Governo o del Podestà, con la torre Rognosa, la Collegiata, le torri gemelle dei Salvucci e il palazzo del Popolo con la torre Grossa. La Rognosa era originalmente una prigione (da cui derivò probabilmente il nome), ma dal 1407 diventò la torre dell’orologio. La collegiata di Santa Maria Assunta, romanica nelle origini (XI secolo), fu modificata e ampliata da Giuliano da Maiano. Tra gli affreschi che arricchiscono l’interno tripartito, pregevole è il Martirio di San Sebastiano di Benozzo Gozzoli. Questo pittore lavorò anche alla decorazione della chiesa di Sant’Agostino, costruzione romanico-gotica della seconda metà del XIII secolo.

I SASSI DI MATERA

MATERA

I MOTIVI DELLA SCELTA

NATA DALLA MONTAGNA E A ESSA INDISSOLUBILMENTE LEGATA, MATERA È UN ESEMPIO PIÙ UNICO CHE RARO DI CITTÀ TROGLODITA. LA TOPOGRAFIA DEL LUOGO E LA STRUTTURA GEOLOGICA FECERO SI CHE QUESTE TERRE VENISSERO SCELTE PER UNO STANZIAMENTO UMANO. LA MORBIDA ROCCIA CALCAREA HA QUI UNO SPESSORE DI CIRCA 400 METRI E IL VICINO PIANO ARGILLOSO, DELIMITATO DA DUE AVVALLAMENTI NATURALI (LE GRAVINE), È FAVOREVOLE AL PASCOLO E ALLE COLTIVAZIONI. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1993 DOPO LE FASI GLACIALI DEL QUATERNARIO, UN RAPIDO PROCESSO DI EROSIONE E DI DEFORESTAZIONE INTERESSÒ LA ZONA DOVE SI SAREBBE SVILUPPATA MATERA, DETERMINANDO UNA SEMPRE MAGGIORE SCARSITÀ D’ACQUA E L’ABBANDONO DEGLI INSEDIAMENTI UMANI. LA COMPARSA DEGLI STRUMENTI IN METALLO, CHE PERMETTEVANO DI LAVORARE CON RELATIVA FACILITÀ IL TERRENO CALCAREO DELLA REGIONE, CAMBIÒ LA SITUAZIONE, FAVORENDO IL SORGERE DI NUOVI STANZIAMENTI, IN PROSSIMITÀ DI RISERVE NATURALI DI ACQUA DOLCE.

Fu attorno a un pozzo naturale che nel Neolitico si svilupparono i tre primi insediamenti: Murgecchia, Murgia Timone e la collina destinata ad ospitare Matera. Tutti presentano le caratteristiche abitazioni cavernicole che hanno reso famosa Matera con i suoi dintorni. Scavi archeologici hanno riportato alla luce la struttura urbana tipica dell’Età del Bronzo che presenta, oltre a cisterne e tombe, i jazzi, una serie di abitacoli scavati nel terreno e aperti su di un comune cortile centrale, di struttura molto simile alle abitazioni che vennero costruite molti secoli dopo. Sul piccolo contrafforte che separa le due gravine (avvallamenti naturali dominati da un piano roccioso) che circondano Matera si stabilirono le prime comunità preistoriche: qui venne poi innalzata la città.

PASTORI TROGLODITI

Già nel X secolo nelle due gravine sorsero diverse chiese appartenenti a piccole comunità di pastori, alcune delle quali avevano sfruttato la morbidezza della roccia per ricavarvi le proprie case. Questi primi abitanti si accontentavano di una piccola cavità che veniva poi chiusa utilizzando lo stesso materiale di scavo. Con il passare del tempo, l’arrivo di nuove genti fece sì che tutto il pendio si coprisse di nuove abitazioni, sempre più complesse. Per mancanza di spazio, si andarono sovrapponendo una all’altra, di modo che il tetto di una dimora diventava, allo stesso tempo, anche il pavimento di quella sovrastante o, addirittura, parte di una delle molte stradine che percorrono la città su diversi livelli. Nacque così la spettacolare struttura urbanistica del Sasso Basariano e del Sasso Caveoso. Gli elementi principali del complesso che oggi è conosciuto come i Sassi di Matera hanno subito ben poche trasformazioni da allora, a parte la tendenza rinascimentale a costruire case di sempre maggiori dimensioni e a trasformare, quando era possibile, i tetti in giardini, con l’unico scopo di rendere più piacevole la vita quotidiana. Com’è logico, la capienza delle rocce di Matera aveva un limite, e di conseguenza, a partire dal XVII secolo, la città iniziò a espandersi sempre più nell’unica direzione possibile, ovvero verso l’alto, riempiendo le piane sovrastanti con nuovi ed interessanti edifici. Sorsero così il Seminario, al Chiesa del Purgatorio, con la sua elegante facciata barocca, la chiesa di San Francesco d’Assisi, sempre barocca, e diverse altre chiese ed edifici vari affacciati sull’asse principale della città, il Corso, lungo e tortuoso. Nonostante la presenza di una serie di edifici di notevole valore architettonico, la parte più interessante di Matera rimane senza dubbio quella dell’estremità occidentale della città e, più esattamente, là dove, una volta oltrepassata piazza del Plebiscito, inizia la discesa che porta verso i sorprendenti Sassi.

ABBANDONO E DECADENZA DEI SASSI

La struttura della città, definita “magnifica e stupenda” nel XII secolo dal geografo arabo Al-Idrisi, di è mantenuta quasi inalterata fino al XVIII secolo. Sfortunatamente, però, mentre la parte più moderna della città venne restaurata e mantenuta abitabile, per i Sassi iniziò un lento e inarrestabile degrado, che li portò verso il più completo abbandono. Le cose cominciarono a cambiare dopo la pubblicazione, nel 1945, del famoso libro di Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli, che fece conoscere al resto del Paese, e poi al mondo, lo straordinario valore storico dei Sassi, ma puntò l’indice anche sulla drammatica situazione sociale dei suoi abitanti. Levi, infatti, narra in modo crudo e realistico l’ambiente di queste grotte, costruite da una sola stanza nella quale vivevano tutti insieme uomini, donne, bambini e animali. L’influenza di questo libro fu tale che poco dopo il governo italiano si preoccupò di far trasferire gli abitanti in edifici di nuova costruzione. Nell’operazione, che segnò un notevole miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, non venne però prevista la ristrutturazione dei Sassi, che, lasciati nel più completo abbandono, andarono incontro a un rapido degrado. La svolta decisiva per il loro restauro arrivò verso la fine degli anni Settanta, quando i centri storici di Venezia e Matera divennero oggetto, per quelle caratteristiche che li rendono unici al mondo, di una speciale legislazione tesa a proteggerli. Iniziò quindi un processo di “riabilitazione” degli antichi quartieri, ancora in corso, grazie al quale diverse case – dopo essere state restaurate – sono ancora abitabili. Non bisogna però dimenticare che la perfetta conservazione delle abitazioni, dove non è stata apportata alcuna modifica, fu dovuta proprio al brusco abbandono degli anni Cinquanta, fatto che non si è verificato in altri centri storici di uguale importanza. L’abbandono si è quindi risolto in un fattore estremamente positivo che ha permesso ai Sassi, nonostante il rovinoso stato in cui ancora in gran parte si trovano, a conservare molte delle caratteristiche acquisite nel corso degli ultimi due millenni. Gli attuali lavori di risanamento, che si svolgono nel massimo rispetto della struttura originaria, sono tesi soprattutto a evitare un ulteriore degrado. Si rinforzano i tetti, si riparano le parti crollate e si recuperano le strade, ma anche le case completamente ricostruite mostrano un rispetto assoluto per la struttura primitiva, che è la vera anima degli spettacolari Sassi di Matera.

CITTA’ DEL PALLADIO

VICENZA

I MOTIVI DELLA SCELTA

LE TEORIE DEL PALLADIO, BASATE SULLA RIVISITAZIONE DEI MODELLI CLASSICI DA UNA PROSPETTIVA UMANISTICA E CON UN NOTEVOLE GUSTO SCENOGRAFICO, HANNO PROFONDAMENTE INFLUENZATO L’ARCHITETTURA DEI SECOLI SUCCESSIVI. ED È PROPRIO A VICENZA, E NEL SUO TERRITORIO, CHE IL FAMOSO ARCHITETTO HA LASCIATO LE SUE PIÙ GRANDI OPERE. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1996 SE ESISTE UNA CITTÀ CHE DAL PUNTO DI VISTA ARTISTICO DEVE LA SUA GLORIA ALL’INTERVENTO DI UN SOLO UOMO, QUESTA È SENZA DUBBIO VICENZA, IL RICCO CENTRO AGRICOLO DELLA PIANURA PADANA DOVE IL GRANDE ARCHITETTO ANDREA PALLADIO REALIZZÒ, NEL CINQUECENTO, LA MAGGIOR PARTE DELLE SUE OPERE.

La Rotonda

Nonostante la sua storia secolare, senza Andrea Palladio Vicenza sarebbe oggi, dal punto di vista monumentale, una città piuttosto modesta. Dell’antica Vicentia, fondata dei Veneti tra il II e il I secolo a.C. e annessa poco dopo nell’Impero Romano, rimangono solo i resti di un teatro e di un acquedotto dell’epoca di Augusto e poche influenze sul tracciato urbano, nel quale si possono ancora riconoscere il cardo e il decumano, rispettivamente nella contrà Porti e del Monte e in corso Palladio. La storia medievale della città fu segnata dagli eventi comuni a tutto il Veneto: subì gli attacchi delle orde barbariche che ne causarono il quasi totale spopolamento, fece parte del Regno Longobardo e dell’Impero Carolingio, si trovò coinvolta nella lotta tra guelfi e ghibellini e alla fine si costituì comune indipendente, restando tale fino all’inizio del XV secolo, quando venne annessa alla Repubblica di Venezia.

QUANDO VENEZIA VOLTO’ LE SPALLE AL MARE

Il XVI secolo segnò una svolta decisiva per la storia di Vicenza e di tutta la Pianura Padana. La vecchia aristocrazia locale fu esclusa dal potere e le sue terre furono espropriate in favore delle principali famiglie veneziane; queste, mettendo a frutto lo spirito imprenditoriale che aveva fatto della Serenissima una grande potenza marittima e applicando ai sistemi di irrigazione le notevoli conoscenze acquisite in ambito idraulico, crearono su quei possedimenti grandi e redditizie aziende agricole. Questa diversificazione economica, in uno Stato dedito fino ad allora quasi esclusivamente al commercio, diede i suoi frutti un secolo più tardi, quando le acque del Mediterraneo divennero pericolose a causa dell’espansione dell’Impero Ottomano e quando la scoperta dell’America spostò verso l’Atlantico le principali rotte di navigazione. Venezia vide scemare il suo potere di “Signora del Mare” e rivolse più che mai l’attenzione alle terre dell’interno, che costituivano la sua più recente conquista e che si rivelarono la principale fonte di salvezza economica per la città. L’aristocrazia veneziana, composta per lo più da armatori, si convertì in aristocrazia di proprietari terrieri, senza perdere il gusto per la raffinatezza che l’aveva portata a erigere sontuosi palazzi sulle instabili isole della laguna. La vita di campagna, vissuta a lungo come un obbligo, diventò una moda, e fu di nuovo esaltato l’antico ideale bucolico dei poeti classici. Mancava solo un artista in grado di dare forma plastica a queste idee: quest’uomo fu Andrea Palladio, che seppe interpretare mirabilmente le esigenze architettoniche della nuova oligarchia veneta. Anche se buona parte della sua vasta opera di costruttore si sviluppò all’interno del centro urbano di Vicenza, la sua figura è indissolubilmente legata alle numerose ville di cui disseminò la campagna nei dintorni della città. Gli architetti che lo avevano preceduto si erano limitati a trasferire nelle dimore fuori città i canoni formali degli edifici urbani, mentre il Palladio seppe creare un nuovo linguaggio architettonico, non solo più adatto agli spazi aperti della campagna, ma anche capace di coniugare le necessità pratiche della vita in un ambiente agricolo con la raffinatezza estetica e l’eleganza, mediante una formula che ancor oggi continua a essere utilizzata in questo genere di costruzioni.

DA SCALPELLINO AD ARCHITETTO

La biografia di Andrea di Pietro della Gondola detto Palladio, inizia a Padova, dove il figlio del mugnaio Pietro della Gondola nacque il 30 novembre 1508. A tredici anni il giovane entrò a bottega come apprendista dell’architetto e scultore Bartolomeo Cavazza di Sossano ; a sedici si trasferì a Vicenza dove lavorò come scalpellino e dove conobbe il suo mecenate, il conte Giangiorgio Trissino, con il quale viaggiò a lungo, recandosi varie volte a Roma; qui familiarizzò con le opere classiche e del primo Rinascimento. Da allora e fino alla sua morte, avvenuta nel 1580, non smise mai di lavorare, soprattutto a Vicenza, ma anche a Venezia, creando uno stile molto personale le cui basi tecniche si trovano esposte in un’opera di grande importanza, I quattro libri dell’architettura, da lui pubblicata nell’anno in cui morì. Dopo la sua morte fu sepolto nella tomba di famiglia, acquistata nella chiesa di Santa Corona; nel 1845 i suoi resti sono stati trasferiti nel mausoleo innalzato appositamente nel cimitero di Vicenza, dove sono custoditi ancora oggi.

ARCHI E COLONNE

Vicenza si considera dunque l’orgogliosa città del Palladio. Qui lo scalpellino tornato da Roma con una preparazione da architetto ebbe la prima opportunità di dimostrare il suo talento con la ristrutturazione della vecchia costruzione gotica del Palazzo della Ragione, sede dell’amministrazione comunale. L’edificio, conosciuto anche come Basilica Palladiana, è ancor oggi una delle opere più rappresentative del maestro, che dotò una delle facciate di una doppia galleria a portico con archi “a serliana” (incorniciati da due architravi) sostenuti da colonne toscane e ioniche, completando l’insieme con una balaustra decorata con statue. Nonostante i lavori della basilica si siano protratti fino al 1614, quindi dopo la morte del suo autore, questo progetto consacrò Palladio come l’architetto più importante del Veneto. A parte alcune chiese che progettò per Venezia, tutta la sua opera si sviluppò a Vicenza e nei dintorni, e il suo intervento modificò profondamente il paesaggio urbano vicentino, contribuendo a delinearne la forma definitiva. Edifici pubblici e religiosi e, soprattutto, lussuose residenze private sia cittadine che si campagna consolidarono nell’arco di quarant’anni i tratti fondamentali del suo stile, nel quale la tradizione classica viene usata in modo personale, seguendo anche le tendenze del manierismo dell’epoca. Particolarmente evidenti queste nell’ultima creazione, il Teatro Olimpico, i cui lavori, iniziati poco prima della sua morte, furono diretti dall’allievo Scamozzi, che seppe rimanere sempre fedele ai disegni del maestro. Il complesso palladiano, oggi considerato Patrimonio dell’Umanità, comprende la totalità della sua opera nel raggio urbano di Vicenza e tre delle sue ville più rappresentative, tra le quali spicca la celebre Villa Almerico Capra Valmarana (più conosciuta come La Rotonda), unanimemente considerata come il miglior esempio di residenza di campagna italiana, mirabile incarnazione dell’ideale rinascimentale di perfezione e simmetria. In totale, ventisei edifici o parti di edifici, di cui diciotto sono sicuramente del Palladio e otto attribuitigli, che formano un’opera vasta, coerente e rivoluzionaria che aprì la strada seguita, da allora fino a oggi, da generazioni di architetti.

CENTRO STORICO DI NAPOLI

I MOTIVI DELLA SCELTA

QUASI 2500 ANNI DI STORIA HANNO LASCIATO A NAPOLI NOTEVOLI TESTIMONIANZE ARCHITETTONICHE E ARTISTICHE, CHE NON SI PERDONO NEL DISORDINE DI UNA CITTÀ SOVRAPPOPOLATA. I SUOI CINQUE CASTELLI E LE OLTRE 200 CHIESE EDIFICATI NEL CENTRO STORICO TESTIMONIANO L’IMPORTANZA DELLA VECCHIA “CAPITALE” DELL’ITALIA MERIDIONALE.

PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1995. LE ORIGINI DI NAPOLI SONO PIUTTOSTO CONFUSE. PARE CHE, NEL VII SECOLO A.C., I GRECI DI CUMA ABBIANO APPROFITTATO DELLA POSIZIONE FAVOREVOLE DI QUELLO CHE È OGGI IL GOLFO DI NAPOLI PER STABILIRVI UN PORTO COMMERCIALE CHE CHIAMARONO PARTENOPE. UN SECOLO DOPO, ATENIESI E CALCIDESI FONDARONO NELLE VICINANZE NEAPOLIS, CIOÈ “CITTÀ NUOVA”, CHE PROSPERÒ RAPIDAMENTE. L’ANTICA PARTENOPE NE DIVENNE UN SEMPLICE QUARTIERE, NOTO CONIL NOME DI PALEOPOLIS, “CITTÀ VECCHIA”.

Con l’espansione romana in Campania, alla fine del IV secolo a.C., Napoli entrò a far parte dei territori sotto il controllo dell’Urbe, e vi restò fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), quando fu occupata da Odoacre. Durante la guerra greco-gotica la città venne espugnata dagli Ostrogoti, ma, nel VI secolo d.C., l’intera regione fu conquistata da Belisario, un generale bizantino agli ordini dell’Imperatore d’Oriente Giustiniano. La Napoli bizantina mantenne il suo antico perimetro, avvalendosi di continui ed efficaci restauri delle zone più deteriorate e della costruzione di numerose chiese e monasteri. L’arte religiosa di questo periodo rivela una stretta relazione con Ravenna, centro politico e culturale del dominio bizantino in Italia. Durante la dominazione normanna, Guglielmo I il Malo edificò Castel Capèuano e Castel dell’Ovo, mentre, nel 1224, Federico II fondò l’università in cui studiò anche San Tommaso d’Aquino. Il successivo dominio degli Angioini diede origine ad una fase di eccezionale espansione e sviluppo, evidenziato dalla costruzione di magnifiche chiese, come quelle di Santa Maria Donnaregina e dell’Incoronata, e di conventi, come quelli di Santa Chiara e di san Lorenzo Maggiore.

NAPOLI, UNA CITTA’ CONTRADDITTORIA

Se ai venticinque secoli di storia della città si aggiunge il gran numero di governanti di origine diversa che ha retto i suoi destini, si può facilmente comprendere la straordinaria complessità del suo tessuto urbano, l’evidente discordanza tra i quartieri e la sorprendente differenza tra i monumenti. Un breve percorso attraverso le diverse fasi storiche della città rivela come ormai non rimanga quasi nulla delle sue origini greche, sebbene gli scavi più recenti abbiano portato alla luce tre sezioni delle mura nordoccidentali. La struttura urbana dei quartieri più antichi rievoca l’epoca romana, di cui è giunto fino a noi un numero maggiore di testimonianze, comprendenti i cimiteri, le catacombe e il grande Teatro. Sembra che il primo edificio religioso del periodo cristiano sia la cappella di Santa Restituta, che oggi si trova all’interno della cattedrale; ci sono però molte chiese, come quelle di San Gennaro e di San Giorgio, i cui elementi architettonici risalgono al IV e al V secolo d.C. Il Castel dell’Ovo, invece, è uno dei monumenti più importanti dell’epoca normanna, anche se il suo aspetto attuale è dovuto a interventi posteriori. Con l’arrivo degli Angioini, Napoli superò i confini delle sue antiche mura estendendosi nei dintorni, mentre nell’architettura si impose lo stile gotico lombardo, i cui esempi più importanti sono le chiese di San Lorenzo Maggiore, Santa Chiara, Santa Maria Donnaregina e il Palazzo del Principe di Taranto. Il successivo periodo di profonde trasformazioni architettoniche coincide con la dominazione della dinastia aragonese, epoca a cui risalgono la chiesa di Santa Caterina, il complesso di Monteoliveto-Sant’Anna dei Lombardi, il Palazzo Reale, il collegio gesuita di Capodimonte e il convento di Sant’Agostino.

UN ITINERARIO ATTRAVERSO LA STORIA

Passeggiando lungo la costa, presso il porto, si noterà subito che le case che lo circondano costituiscono, come ovunque a Napoli, una vera e propria contraddizione: vicoli angusti sorgono di fianco alla zona più elegante, con ville lussuose e strade signorili. Un’altra zona da visitare è il quartiere vecchio: le strette strade che occupano l’antico centro greco-romano, infatti, sono ricche di fontane, chiese e monumenti. Infine, la terza zona di Napoli che merita una visita accurata è la parte rinascimentale che si estende nel centro della città. A dominare la zona marittima è l’imponente struttura del Castel dell’Ovo, che prende il nome dall’uovo che, secondo un’antica leggenda, fu sepolto qui dal poeta Virgilio. L’uovo era magico e la leggenda vuole che quando si romperà, tutto il castello crollerà insieme ad esso. Il maggior numero di opere d’arte si trovano nel quartiere antico. La chiesa di Sant’Anna del Lombardi, o Monteoliveto, è un autentico gioiello della scultura rinascimentale. All’interno si trovano un’Annunciazione e due Santi di Benedetto da Maiano, una Pietà di Giudo Mazzoni, il monumento di Maria d’Aragona, realizzato dal Rossellino e dal Maiano, e gli splendidi affreschi della sacrestia, opera del Vasari. La chiesa di Santa Chiara è un edificio in stile gotico-provenzale del XIV secolo. Al suo interno si trova la tomba di Roberto I d’Angiò, realizzata dai fratelli Bertini. Addossato alla chiesa c’è il chiostro delle Clarisse, un luogo riparato in cui rilassarsi passeggiando all’ombra dei pergolati, tra le splendide colonne e le panchine rivestite in maiolica. La chiesa di San Domenico Maggiore conserva opere straordinarie, come L’Annunciazione di Tiziano o La Flagellazione di Caravaggio, oltre a un crocifisso con il quale, secondo la leggenda, Tommaso d’Aquino tenne la famosa conversazione. Il duomo di San Gennaro, edificato nel XIII secolo sui resti di un’antica basilica paleocristiana, è un luogo di grande interesse per il visitatore che vuole conoscere la vera anima di Napoli. A parte il grande valore delle opere barocche che vi si possono ammirare, la chiesa è importante soprattutto perché all’interno del sacrario della sua sontuosa cappella sono custodite le due ampolle contenenti il sangue di San Gennaro, che tradizionalmente si liquefa a maggio e a settembre: l’evento, molto sentito dai Napoletani, dà luogo a una vera e propria ondata di fervore religioso. All’interno della chiesa di San Lorenzo Maggiore (XII secolo) si trova la tomba di Caterina d’Austria, realizzata in stile gotico. Gran parte della fama di questa chiesa deriva, però, dal fatto che qui, nel 1334, il Boccaccio si innamorò di Fiammetta e poco dopo, nel 1345, all’interno del suo convento soggiornò il Petrarca. Gli ammiratori della pittura di Josè de Ribera, detto Lo Spagnoletto, non possono trascurare il Museo Filangeri, situato all’interno di Palazzo Cuomo, dove potranno ammirare la Santa Maria Egiziaca e La testa di San Giovanni Battista. Gli appassionati d’arte devono assolutamente visitare anche la chiesa di San Filippo Neri o dei Gerolamini, perché al suo interno Luca Giordano ha dipinto il magnifico affresco di Cristo che scaccia i mercanti dal tempio e una Santa Maddalena attualmente esposta in una delle cappelle. Oltre alle chiese, nel quartiere antico si trova anche Castel Capuano, antica residenza reale e oggi del Palazzo di Giustizia. Per quanto riguarda le mura, risalenti all’epoca aragonese, vale la pena di soffermarsi davanti a Porta Capuana (1484), uno splendido arco trionfale cinto da due torri, opera di Giuliano da Maiano.

IL MUSEO ARCHEOLOGICO E CAPODIMONTE

Uno dei punti di maggiore interesse della città è il Museo archeologico nazionale, uno dei più completi d’Europa per quanto riguarda il mondo classico, grazie ai numerosi reperti provenienti dalle vicine Pompei ed Ercolano. Nella sezione dedicata ai mosaici si possono ammirare Platone e i suoi discepoli e la spettacolare Battaglia di Alessandro, che celebra la vittoria di Alessandro Magno sulle truppe persiane di Dario. Proseguendo la passeggiata attraverso la zona centrale della città, un altro museo di grande interesse è la Galleria nazionale di Capodimonte, prima museo privato di Carlo II, poi residenza di Murat, di Giuseppe Bonaparte e, più tardi, dei duchi d’Aosta. Al suo interno si può ammirare un’ampia collezione di pittura italiana.

CENTRO STORICO DI SIENA

SIENA

LATITUDINE 43° 19′ NORD LONGITUDINE 11° 21′ EST

I MOTIVI DELLA SCELTA

IL PATRIMONIO ARTISTICO DI SIENA, CIRCONDATA DAI VIGNETI E DAGLI ULIVETI TIPICI DEL PAESAGGIO TOSCANO, RISPECCHIA PERFETTAMENTE LO SPLENDORE CHE CARATTERIZZÒ QUESTO COMUNE IN EPOCA MEDIEVALE E RINASCIMENTALE. TUTTA LA CITTÀ COSTITUISCE INOLTRE UN VIVIDO ESEMPIO DEGLI ALTI LIVELLI RAGGIUNTI DAL GOTICO ITALIANO, DEGNO DI ESSERE PARAGONATO A QUELLO FRANCESE E SPAGNOLO. PATRIMONIO DELL’UMANITÀ: DAL 1995 FONDATA DAGLI ETRUSCHI E POI COLONIA ROMANA, SIENA DIVENTÒ NEL MEDIOEVO UN LIBERO COMUNE, RENDENDOSI, NEL 1186, INDIPENDENTE DAL POTERE VESCOVILE CHE FINO AD ALLORA AVEVA DOMINATO LA CITTÀ. A CARATTERIZZARE QUESTO PERIODO DELLA STORIA DI SIENA È LA SECOLARE RIVALITÀ CON FIRENZE, ORIGINATA DALLA LOTTA PER IL POSSESSO DELLE MINIERE DI ALLUME, MATERIALE NECESSARIO ALLA MANIFATTURA DELLA LANA, ALL’EPOCA ATTIVITÀ PRIMARIA DELLA BORGHESIA FIORENTINA.

Il contrasto tra le due città raggiunse il culmine con lo scontro tra le fazioni fiorentine dei guelfi (sostenitori del Papato), e dei ghibellini (fautori dell’Impero), conclusosi con la vittoria dei secondi, appoggiati dai Senesi, nella battaglia di Montaperti del 1260. I proventi derivanti dallo sfruttamento dell’allume trasformarono Siena in una potenza economica: le locali istituzioni finanziarie arrivarono a concedere ingenti prestiti al Papato e a stabilire rapporti commerciali con Londra, Marsiglia e l’Europa settentrionale. Fu questa prosperità a permettere ai Senesi di edificare palazzi e chiese magnifici, come il duomo e il Palazzo Comunale. Nel XVI secolo la città entrò a far parte del Granducato di Toscana, sotto il governo di Cosimo I de’ Medici e, a simboleggiare il potere esercitato dalla famiglia fiorentina sugli antichi nemici, fu edificato un imponente fortino difensivo. In quest’epoca le attività commerciali e bancarie subirono un arresto e nel XVII secolo le lotte tra fazioni rivali e un breve dominio della famiglia milanese dei Visconti segnarono la fine della grandezza della città.

UNA PIAZZA COME UNA CONCHIGLIA

Il cuore di Siena è Piazza del Campo, che secondo la leggenda è ispirata al manto che copriva la Vergine quando apparve ai Senesi durante la battaglia di Montaperti. In questa piazza semicircolare confluiscono le tre antiche strade che attraversavano la città (quella per Roma, quella per Firenze e quella per la Maremma) e verso di essa digradano le tre colline sulle quali si estende l’abitato. La sua forma, che ricorda quella di una conchiglia, e la sua leggera pendenza sono ulteriormente accentuate dalla pavimentazione. I nove listoni che salgono a raggiera dalla parte inferiore della piazza simboleggiano il Consiglio dei Nove Uomini Buoni, che governò la città dal 1287 al 1335, periodo in cui Siena raggiunse una grande prosperità. Sulla parte inferiore della piazza si affaccia il Palazzo Pubblico o Comunale, superbo e armonioso esempio di architettura gotica civile, che fu per secoli la sede del massimo potere cittadino. Leggero e imponente nello stesso tempo, presenta finestre a tre ogive e una facciata leggermente concava e ornata da merlature. Il piano inferiore è caratterizzato dai tipici archi senesi, che consistono in un arco a sesto acuto ribassato e inserito in un altro arco a sesto acuto. All’interno è ospitato il Museo civico, che custodisce i lavori più importanti della famosa scuola pittorica senese. Nella Sala della Pace, in particolare, fanno bella mostra di sé alcuni notissimi cicli affrescati da Ambrogio Lorenzetti, attivo nella prima metà del XIV secolo: Il Buon Governo, Effetti del Buon Governo in città e in campagna, Il malgoverno e i suoi effetti. Tra gli altri artisti le cui tele e i cui affreschi decorano il palazzo, sono da ricordare Simone Martini, Sano di Pietro e Giovanni Pisano. Nella Sala del Mappamondo, dove si riunivano i rappresentanti del Comune, sono visibili due importanti affreschi, entrambi attribuiti a Simone Martini: la Maestà e l’imponente Assedio del castello di Montemassi da parte di Guidoriccio da Fogliano (1328-1329). Situati su pareti opposte, creano un efficace contrasto tra la dolcezza dell’immagine della Vergine e la bellicosa potenza del condottiero senese. Il Palazzo Pubblico è dominato dalla svettante Torre del Mangia, trecentesca esecuzione in laterizi sovrastata da una cella campanaria in pietra. Sotto la torre sporge dal corpo dell’edificio la Cappella di Piazza, fatta erigere dai Senesi come ringraziamento per la fine dell’epidemia di peste del 1348, a causa della quale la popolazione si era ridotta da 25.000 a 16.000 abitanti.

UN CAPOLAVORO DI ELEGANZA

Situato nel punto più alto della città, il duomo di Santa Maria fu edificato alla fine del XII secolo su una precedente struttura romanica. Si dovette aspettare la fine del XIII secolo perché Giovanni Pisano decorasse la parte inferiore della facciata e i suoi magnifici portali, considerati tra i più rappresentativi del gotico italiano. La parte superiore della facciata è opera di Giovanni di Cecco, attivo nel XIV secolo. L’esterno della chiesa non presenta i contrafforti tipici del gotico, mentre la facciata è interamente rivestita di marmo bianco di Carrara attraversato da fasce verdi di marmo di Prato. Lo stesso rivestimento si ripete anche all’interno, dove sono degni di nota il pavimento, realizzato da una quarantina di artisti (secc. XIV-XVI), e il pulpito, opera di Nicola Pisano. Sotto l’abside del duomo è situato il battistero, ornato dagli affreschi del Vecchietta (XIV secolo). Notevole il fonte battesimale, di Jacopo della Quercia (1417-1430), decorato da statue e bassorilievi in bronzo. Il Museo dell’opera metropolitana, ambientato nei locali dell’incompiuto “duomo nuovo”, racchiude le opere artistiche più preziose del duomo. Da non perdere la celebre Maestà di Duccio di Buoninsegna, capolavoro della pittura senese del Trecento e modello per molte altre esecuzioni del medesimo soggetto. Vanno inoltre segnalati La Natività della Vergine di Pietro Lorenzetti e il Tesoro del duomo, comprendente magnifici reliquiari, calici, custodie, crocifissi e un’importante collezione di arazzi.

IL PALIO

Durante la dominazione medicea, nel XVI secolo, nacque e si affermò a Siena la tradizione del Palio, una corsa di cavalli montati senza sella e lanciati in uno sfrenato galoppo lungo il perimetro di Piazza del Campo. La competizione si tiene ancora oggi e richiama appassionati e curiosi da tutto il mondo: vi si rivivono gli antichi fasti della città, con le alleanze di quartiere (le contrade) e le rivalità secolari. Due volte all’anno, il 2 luglio e il 16 agosto, dopo una scenografica sfilata in costume e una parata di sbandieratori, i cavalli e i fantini delle 17 contrade di Siena si contendono il “palio” (uno stendardo araldico) davanti a una folla di Senesi al colmo dell’eccitazione, in un’emozionante gara senza regole, durante la quale sono ammessi anche i colpi e le frustate tra fantini e che può essere vinta anche da un cavallo “scosso”, cioè che ha disarcionato il cavaliere.