cardinale cei camillo ruini

La prolusione del card. Camillo Ruini che ha aperto i lavori dell’Assemblea generale della Cei ad Assisi

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Ecco l’intervento integrale del cardinal Camillo Ruini, presidente della Cei, alla 55.Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana che si tiene ad Assisi da ieri al 18 novembre.

“Venerati e cari Confratelli, dopo la breve Assemblea di fine maggio, ci ritroviamo qui ad Assisi, e più precisamente a Santa Maria degli Angeli, per un’Assemblea che avrà una durata leggermente maggiore di quella delle nostre usuali assemblee residenziali e nella quale affronteremo anche i temi che fu necessario accantonare a maggio. Esprimiamo la nostra viva gratitudine ai Frati Minori, che ci ospitano con delicata premura in questa “Domus Pacis” e in edifici adiacenti, e alle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino. Salutiamo con deferente affetto il Nunzio Apostolico in Italia, Mons. Paolo Romeo, e lo ringraziamo di cuore per la sua presenza tra noi. Diciamo un grazie fraterno al Vescovo della Chiesa che ci ospita, Mons. Sergio Goretti, e assicuriamo la nostra preghiera per lui e per la sua Diocesi. Trascorrendo insieme quasi un’intera settimana avremo modo di vivere concretamente la nostra comunione e di approfondire i legami di reciproca amicizia. L’atmosfera di fede e di raccoglimento che si respira in questi luoghi delle grandi memorie francescane sosterrà la nostra preghiera e ci aiuterà a mantenere nel solco del Vangelo ogni nostra riflessione e deliberazione.

Il nostro pensiero si rivolge anzitutto al Santo Padre Benedetto XVI. Dopo la grande e felice esperienza della XX Giornata Mondiale della Gioventù, a Colonia, il Papa ha presieduto, nel mese di ottobre, l’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata all’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. L’Enciclica Ecclesia de Eucharistia e la celebrazione dell’Anno dell’Eucaristia, con la Lettera apostolica ad esso dedicata Mane nobiscum Domine, hanno costituito la più sostanziale e feconda preparazione dell’Assemblea sinodale. La stessa Giornata Mondiale della Gioventù, con gli interventi di Benedetto XVI e con l’impronta fortemente eucaristica dell’intero evento, ha rappresentato a sua volta un ottimo preludio allo svolgimento del Sinodo. In un clima di preghiera, di comunione e di scambio libero e fraterno, i lavori sinodali hanno messo ulteriormente in luce la centralità dell’Eucaristia, nella quale è raccolto e “concentrato” per sempre il mistero della nostra salvezza, e pertanto l’intimo legame tra Eucaristia e Chiesa, e in particolare il rapporto tra Eucaristia e sacerdozio ministeriale ed anche tra Eucaristia e sacramento del matrimonio. I Padri del Sinodo hanno ampiamente condiviso la grande validità e fecondità della riforma liturgica del Concilio Vaticano II e la necessità di una maggiore sottolineatura della dimensione verticale della liturgia e del senso del mistero, insistendo in particolare sul valore dell’adorazione eucaristica, essenzialmente connessa alle celebrazione della Messa e alla presenza reale di Cristo. Con riferimento alle catechesi di Benedetto XVI a Colonia, è stato evidenziato il dinamismo in virtù del quale l’Eucaristia deve diventare nella vita quel che significa nella celebrazione, con tutte le conseguenze personali e sociali che ciò implica. L’incontro del Santo Padre con i bambini della prima Comunione, presenti in numero straordinariamente grande sabato 15 ottobre in Piazza San Pietro, è stato, per le domande dei bambini stessi e le riposte del Papa, tanto semplici e chiare, vive e convincenti, come per l’atmosfera di gioia e di festa e al contempo di preghiera e di adorazione, un felice momento nel quale si è potuto toccare con mano come il contenuto del Sinodo sull’Eucaristia sia vita e speranza della Chiesa e dell’umanità.

Cari Confratelli, nel corso di questa Assemblea celebreremo il 40° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, rivolgendo un messaggio alle nostre comunità e agli uomini di buona volontà. Già ora vorrei soffermarmi un poco su questo fondamentale evento ecclesiale che il Sinodo straordinario dei Vescovi “a vent’anni dal Concilio” ha riconosciuto come “la massima grazia” del XX secolo (Relazione finale, II, D, 7). Mi sia consentito anzitutto rimandare a due testi che rimangono decisivi per cogliere l’intenzione e il significato complessivo del Vaticano II: il discorso pronunciato da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, nella solenne apertura del Concilio, e l’omelia di Paolo VI del 7 dicembre 1965, al termine del Concilio stesso. È bene poi riascoltare ciò che Giovanni Paolo II ha scritto a proposito del Vaticano II nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Si tratta di “un Concilio simile ai precedenti, eppure tanto diverso; un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della Chiesa ed insieme aperto al mondo”, in risposta evangelica alle esperienze sconvolgenti del secolo XX. Esso segna un’epoca nuova nella vita della Chiesa, attingendo però molto dalle esperienze e dalle riflessioni del periodo precedente, in particolare dal pensiero di Pio XII: nella storia della Chiesa, infatti, il “nuovo” cresce dal “vecchio” e il “vecchio” trova nel “nuovo” una sua più piena espressione (cfr n. 18). Un’enorme ricchezza di contenuti ed “un nuovo tono, prima sconosciuto” nella loro presentazione “costituiscono quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo, … del Discorso della Montagna e delle Beatitudini. Nel messaggio conciliare Dio è presentato nella sua assoluta signoria su tutte le cose, ma anche come garante dell’autentica autonomia delle realtà temporali” (n. 20). Non è certamente questa l’occasione per ripresentare le ricchezze degli insegnamenti del Vaticano II. Come non ricordare però, per mantenerle sempre presenti ed efficaci nella vita e nella testimonianza attuale della Chiesa, le linee portanti dei suoi principali documenti, a cominciare dalle quattro Costituzioni conciliari? Così nella Costituzione Dei Verbum emerge il carattere centrale e fondante – per la fede, per la Chiesa e per tutto il cristianesimo – dell’atto con cui Dio prende l’iniziativa di rivelare se stesso a noi, introducendoci nel mistero della sua vita e della sua libera volontà. Vengono messe in luce pertanto le dimensioni personali, dinamiche, storiche e salvifiche della divina rivelazione, la sua indole cristologica e trinitaria.

La Sacra Scrittura viene riproposta in tutto il suo valore e la sua fecondità, per la Chiesa, per la teologia e per la vita di ciascun credente, e sono approfonditi i rapporti tra la Scrittura, la Tradizione e la Chiesa con il suo Magistero vivente. La Costituzione Sacrosanctum Concilium, la prima approvata dal Vaticano II, ha riscoperto l’indole profonda dell’azione liturgica – soprattutto dell’Eucaristia – mediante la quale “si attua l’opera della nostra redenzione”: è reso cioè efficacemente presente il mistero della morte e risurrezione di Cristo. La liturgia pertanto “contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa” (n. 2). La riforma liturgica che ha preso avvio da questa Costituzione, e che ha introdotto nella liturgia cattolica l’uso delle lingue moderne, è stata concepita e voluta per favorire in primo luogo questo più pieno incontro con il mistero di Cristo e lo ha ampiamente promosso, al di là di quelle deviazioni che hanno potuto verificarsi nella sua attuazione. Uno spazio centrale, nel Concilio Vaticano II, è occupato senza dubbio dalla Costituzione Lumen gentium.

Tra le sue molte ricchezze facciamo menzione almeno delle nozioni fondamentali: la Chiesa come mistero o sacramento, dove è messo in evidenza il suo essenziale riferimento a Cristo, e quindi a Dio che ci salva, agli uomini che Dio salva e finalmente alla salvezza escatologica, oltre che la “non debole analogia” tra la realtà – una e insieme complessa – della Chiesa e il mistero del Verbo fatto carne.

La Chiesa come popolo di Dio, con la riscoperta del sacerdozio comune dei fedeli fondato nel battesimo, l’insistenza sulla condizione di dignità e di libertà propria di tutti i figli di Dio, la sottolineatura dell’universale vocazione alla santità e la precisazione di quel che potremmo chiamare lo “statuto teologico” del cristiano laico, con la connessa grande valorizzazione del suo ruolo nella Chiesa e nel mondo. La più compiuta definizione, rispetto al Concilio Vaticano I, della costituzione gerarchica della Chiesa, con l’affiancamento al primato del Papa della collegialità dei Vescovi, nel quadro di un più approfondito ed equilibrato rapporto tra Chiesa particolare e Chiesa universale e della forte affermazione dell’indole di servizio che caratterizza la sacra potestà. L’unica Chiesa di Cristo “sussiste nella Chiesa cattolica, … ancorché al di fuori del suo organismo visibile – vale a dire nelle altre Chiese e comunità cristiane – si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica” (Lumen gentium, 8): è posta così la fondamentale premessa ecclesiologica di quel nuovo slancio ecumenico che ha trovato piena espressione nel Decreto Unitatis redintegratio e che caratterizza ormai in maniera irreversibile il cammino della Chiesa cattolica. L’indole e la vocazione missionaria della Chiesa è stata a sua volta approfondita, sempre sulla base della Lumen gentium, nel Decreto Ad gentes, partendo dalla forte affermazione teologica che “La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre” (n. 2). La Costituzione pastorale Gaudium et spes si alimenta di tutte queste ricchezze per delineare e proporre un’apertura di grande respiro – non però unilaterale e acritica – della Chiesa al mondo contemporaneo. Alla base di tale apertura sta un approccio nettamente antropologico, che pone l’uomo al centro, ma anche un preciso radicamento cristologico, in quanto “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (n. 22).

Parimenti la legittima autonomia delle realtà terrene è vigorosamente affermata ma è fondata e garantita attraverso la loro dipendenza creaturale da Dio e viene congiunta con la ricapitolazione di tutte le creature in Cristo. Entro questo quadro la Gaudium et spes opera il ricupero cristiano di quella “svolta antropologica” che, fin dai tempi dell’Umanesimo e del Rinascimento, ha caratterizzato la modernità, e affronta le grandi tematiche umane e sociali della nostra epoca. Nella medesima linea la Dichiarazione Dignitatis humanae pone a fondamento del diritto alla libertà sociale e civile in materia religiosa la dignità stessa, o la natura, della persona umana, che è presente in ogni uomo quali che siano le sue convinzioni e le sue idee. Così, da un lato, è superata quella posizione che considerava la libertà religiosa semplicemente come un diritto civile, da ammettersi da parte della Chiesa solo in determinate situazioni storiche, perché unicamente la verità, e non l’errore, potrebbe avere dei diritti. Dall’altro lato è ugualmente superata quella concezione relativistica della libertà religiosa, e delle libertà civili e politiche in genere, che ha dominato e tuttora in buona parte domina il panorama culturale dell’epoca moderna, facendo dipendere la libertà dall’assenza di una verità conoscibile e accertabile. Attraverso questo duplice superamento si compie una importantissima riconciliazione tra la Chiesa e la “storia della libertà”.

La Dichiarazione Nostra aetate offre a sua volta una chiara indicazione di apertura e accoglienza nei confronti delle religioni non cristiane e in particolare dell’ebraismo, insieme alla esplicita affermazione della pienezza di verità e del ruolo salvifico della fede in Cristo. La recezione del Concilio, ossia la sua assimilazione e attuazione concreta nella vita e nella missione della Chiesa, è stata – e difficilmente poteva essere diversamente – un’opera complessa e spesso travagliata, per cause sia esterne sia interne alla Chiesa stessa, già individuate in buona parte dal Sinodo straordinario celebrato a vent’anni dal Concilio.

Ma i frutti positivi sono comunque assai grandi e ben più rilevanti delle difficoltà e degli inconvenienti: abbiamo dunque tutti i motivi per ringraziare il Signore del dono che ci ha fatto attraverso il Vaticano II. In Italia, in particolare, dobbiamo essere grati a Dio perché il rinnovamento conciliare ha inciso in maniera profonda sul volto e sulla realtà delle nostre Chiese, ed anche sui modi e sulle forme della presenza cristiana nella vita del Paese, senza arrestare certo i processi di secolarizzazione e purtroppo di scristianizzazione, aiutando però a comprendere le radici di questi fenomeni e soprattutto stimolando una risposta pastorale e culturale non ripiegata sulla sola difesa della nostra grande eredità cristiana, bensì rivolta a far nuovamente fruttificare questa eredità, in chiave di missione e di evangelizzazione. Anche gli aspetti di travaglio, di contestazione e di crisi del periodo successivo al Concilio in Italia sono stati meno acuti e soprattutto meno profondi che in altre nazioni. Negli ultimi anni, in particolare, è cresciuta una rinnovata consapevolezza della comunione ecclesiale e della responsabilità missionaria che tutti condividiamo, con un impegno capillare e generoso dei laici cristiani e delle loro molteplici aggregazioni.

La recezione del Vaticano II, in Italia come ovunque nel mondo, non può tuttavia in alcun modo dirsi già compiuta. Essa richiede da parte di tutte le membra del corpo del Signore, e in modo peculiare da parte di noi Pastori, docile fiducia nella guida dello Spirito Santo, coraggio e discernimento evangelico, profondo senso della comunione ecclesiale. Nei quarant’anni trascorsi dalla conclusione del Vaticano II è stata sempre più confermata la diagnosi conciliare che vede nel cambiamento, o meglio nell’accelerazione dei mutamenti, la caratteristica saliente dell’attuale periodo storico (cfr Gaudium et spes, 4-5). Basti ricordare quella rivoluzione della cultura e del costume che si è soliti indicare con la data dell’anno 1968; l’improvvisa caduta della cortina di ferro, nel 1989, con tutte le sue conseguenze e ripercussioni; la cosiddetta “rivoluzione informatica”, i processi di globalizzazione e i grandi fenomeni di emigrazione, connessi con il persistere – e talvolta l’aggravarsi – delle tragedie del sottosviluppo e della fame in vaste aree della terra, ma anche con la crescita rapida e tumultuosa di grandi nazioni di antica civiltà che si pongono ormai come nuove protagoniste sulla scena mondiale; il salto di qualità del terrorismo internazionale, a far data dall’11 settembre 2001, che costituisce una deriva tragica rispetto al legittimo risveglio identitario dei popoli islamici; la nuova frontiera delle biotecnologie, che sono solo ai loro inizi ma già comportano straordinarie possibilità e interrogativi altrettanto profondi. Il panorama è dunque grandemente cambiato, rispetto a quello in cui è stato celebrato il Vaticano II. D’altra parte il Concilio stesso ci ha insegnato a “discernere negli avvenimenti … i veri segni della presenza e del disegno di Dio” (Gaudium et spes, 11) e al contempo ci ha ammonito che “al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cfr Eb 13,8)” (Gaudium et spes, 10).

La Chiesa è chiamata pertanto a continuare oggi, e sempre di nuovo, quella grande opera di discernimento e di orientamento profetico che il Vaticano II, sotto la guida dello Spirito Santo, ha saputo compiere tanto fruttuosamente. Ma proprio nel perseguire questo impegnativo compito rimane decisiva la grande indicazione che ci viene dal Concilio e che esprime l’unità profonda dell’evento conciliare: concentrarsi sul mistero di Cristo, vivente nella Chiesa, rifacendosi alle ricchezze della Sacra Scrittura, dei Padri, della liturgia, e fondare su queste basi l’apertura, missionaria e dialogica, all’umanità del nostro tempo.

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Cari Confratelli, questa nostra Assemblea affronterà un tema che è particolarmente vicino al cuore e alla sollecitudine pastorale di ciascuno di noi: la formazione al ministero presbiterale e quindi la vita dei seminari, per i quali dovremo esaminare e possibilmente approvare i rinnovati “Orientamenti e norme”. Mons. Italo Castellani e Mons. Gualtiero Bassetti ci introdurranno a queste problematiche, che poi approfondiremo nei gruppi di studio. Per parte mia vorrei richiamare quello che il Papa, incontrando i seminaristi a Colonia, ha indicato come lo “scopo più profondo” del seminario: “far conoscere intimamente quel Dio che in Gesù Cristo ci ha mostrato il suo volto”.

Benedetto XVI ha aggiunto che “Il seminario è tempo di preparazione alla missione”. Avvertiamo in questa duplice sottolineatura l’eco delle parole evangeliche: “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,13-15). In una Chiesa che avverte sempre più acutamente la necessità e priorità dell’evangelizzazione, anzitutto la figura del sacerdote deve assumere una più marcata caratterizzazione missionaria. Ciò richiede in lui una identità spirituale e ministeriale ben chiara e profondamente radicata in Cristo, lieta e convinta della propria appartenenza ecclesiale, e al contempo aperta e per così dire “estroversa”, capace cioè di capire le persone e i contesti sociali e culturali in cui si è chiamati ad operare, di testimoniare con la vita e di proporre amabilmente e coraggiosamente la fede e la sequela di Cristo, in maniera diretta e personale ed in ogni opportuna circostanza. Ne derivano conseguenze evidenti per la formazione dei seminaristi e per la stessa configurazione dei seminari: occorre aiutare i candidati al sacerdozio a fare sintesi della loro fede personale ed ecclesiale, a livello non solo intellettuale ma anche vitale e in rapporto alla società e alla cultura; sostenere la crescita della responsabilità personale e delle doti e carismi di ciascuno, favorendo il formarsi e consolidarsi di soggetti forti e motivati, idonei a diventare per le comunità guide e punti di riferimento, ed evitando invece gli appiattimenti, come anche le fughe nell’intimismo o nell’estetismo; al contempo bisogna far superare ogni approccio individualistico e aiutare i seminaristi a comprendere seriamente e ad integrare nella realtà della loro vita il grande principio che “il ministero ordinato ha una radicale «forma comunitaria» e può essere assolto solo come «un’opera collettiva»” (Pastores dabo vobis, 17). In questa ottica sembra importante che nei seminari le regole da una parte non siano troppo minuziose e non pretendano di inquadrare ogni momento della giornata, dall’altra siano prese sul serio e rispettate concretamente.

Di vitale rilevanza è finalmente che i candidati al sacerdozio imparino fin dagli anni del seminario a ritornare sempre di nuovo a Cristo, a rimanere nel suo amore (cfr Gv 15,9) e per così dire a riposarsi in esso: questa è infatti, come ha detto il Papa a Colonia, la condizione perché quando saranno preti non si inaridiscano e non si smarriscano nelle fatiche e nei pericoli che la missione inevitabilmente comporta.

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Il secondo argomento che tratteremo nella nostra Assemblea riguarderà la Chiesa e il mondo della salute: anche su di esso rifletteremo nei gruppi di studio, dopo la relazione di Mons. Giuseppe Merisi e le comunicazioni del Dott. Antonio Cicchetti, di Fr. Mario Bonora e di Mons. Italo Monticelli, che ci introdurranno nei diversi aspetti di questa tanto importante quanto complessa tematica. La affronteremo quindi cercando di essere attenti a questa sua complessità, ma consapevoli anzitutto dell’intimo legame che unisce la sofferenza umana al centro stesso della nostra fede, alla passione, morte e risurrezione di Cristo: resta in proposito pienamente attuale ed illuminante la Lettera apostolica Salvifici doloris, che Giovanni Paolo II non soltanto ha scritto ma ha anche esemplarmente inverato nella sua vita e nella sua morte.

Attraverso questa nostra Assemblea intendiamo pertanto sostenere e incrementare l’azione pastorale ed evangelizzatrice della Chiesa nel mondo della salute, tenendo conto dei cambiamenti in corso nelle attività e metodologie terapeutiche e in tutta l’organizzazione sanitaria. Proprio questi cambiamenti, con l’abbreviazione dei tempi delle degenze ospedaliere e con l’auspicato potenziamento dell’assistenza domiciliare, spingono nella direzione della “pastorale integrata” anche per quanto riguarda la collaborazione, che deve crescere, tra quanti operano direttamente nell’ambito della sanità e le altre realtà pastorali, a cominciare dalle parrocchie: solo così potrà aversi in concreto quel “rinnovato impulso all’evangelizzazione del mondo della sanità” che Giovanni Paolo II auspicava nel Messaggio ai malati dell’11 febbraio 2001. La pastorale della salute costituisce infatti un terreno privilegiato per accogliere le più serie e profonde domande esistenziali, per rispondere alle attese di una salute e salvezza piena nel Signore risorto, per promuovere in concreto un’autentica cultura della vita e della solidarietà, incentrate sulla visione cristiana dell’uomo con la sua dignità unica, la sua fondamentale apertura a Dio, il suo orizzonte escatologico. Dal mondo della sofferenza e della malattia dobbiamo dunque lasciarci costantemente interpellare, per chiederci come si possa meglio attualizzare oggi l’opera del Signore Gesù, medico del corpo e dello spirito, sia nell’assistenza religiosa agli ammalati e alle loro famiglie, sia attraverso l’azione degli istituti sanitari di ispirazione cristiana, sia con l’attenzione e l’impegno dei credenti verso il vasto mondo della sanità pubblica. In proposito, alla luce del primato della persona che rimane il principale criterio di ogni attività sanitaria, mi sia consentito aggiungere tre rapide osservazioni.

Nel contesto della regionalizzazione del servizio sanitario occorre uno sforzo speciale per migliorare la qualità di tale servizio nelle regioni meridionali. In presenza dell’invecchiamento della popolazione appare indispensabile potenziare le capacità di assistenza ai malati cronici. Di fronte all’aumento dei casi di disagio e anche di vera e propria patologia psichica, sembra ugualmente necessario incrementare e rendere più facilmente usufruibili le possibilità di intervento e cura in tale delicato settore, anche per prevenire eventi tragici e per non gravare di oneri insopportabili le famiglie.

Cari Confratelli, la vita dell’umanità, in un mondo sempre più interdipendente, si presenta particolarmente turbata, in questi mesi, da molteplici e ripetuti eventi drammatici. Tremende sono state le devastazioni provocate l’8 ottobre dal terremoto nel Kashmir, ed enorme è il numero delle vittime – tra cui moltissimi bambini – e ancor più dei feriti, mentre rimane tuttora gravissima la situazione delle popolazioni superstiti. Dobbiamo inoltre constatare con tristezza che nel mondo le reazioni di solidarietà concreta sono state purtroppo complessivamente deboli, tanto da apparire proporzionate, più che all’immensità della tragedia, alla sua limitata copertura mediatica.

La nostra Conferenza Episcopale è già intervenuta con una prima erogazione, a cui ne segue oggi un’altra, mentre anche la Caritas è alacremente all’opera. I nostri aiuti vanno inoltre alle popolazioni colpite da nuovi uragani, che hanno a loro volta provocato gran numero di vittime, soprattutto in America Centrale e particolarmente in Guatemala. Il terrorismo di matrice islamica continua a colpire in diverse parti del mondo: così nell’isola di Bali in Indonesia, a Nalcik nel Caucaso russo, a Nuova Delhi in India, e da ultimo ad Amman in Giordania. In Egitto e in Indonesia sono avvenute purtroppo uccisioni di cristiani e attacchi anche ad una chiesa. Il Rapporto 2005 sulla libertà religiosa nel mondo, pubblicato dall’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, mostra quanto grande sia il numero delle persone e delle comunità, di molte religioni ma soprattutto cristiane, perseguitate a motivo della loro fede. In Iraq la situazione rimane assai grave ed è qui che si registra di gran lunga il maggior numero di vittime e di stragi.

Il testo della nuova Costituzione è stato però approvato, attraverso un referendum che ha visto un’alta partecipazione alle urne. Prosegue dunque – nonostante tutto – il faticoso cammino di riscatto di questo tanto martoriato Paese: affinché esso possa pervenire ad un assetto pacifico, democratico e rispettoso dei diritti delle persone rimane però da compiere un grande sforzo ulteriore, per realizzare accordi condivisi da ciascuna delle sue componenti, salvaguardando al contempo una effettiva libertà religiosa anche per le minoranze. In Afghanistan, dove un nostro militare, Michele Sanfilippo, è stato purtroppo ucciso incidentalmente, le elezioni per ricostituire, dopo più di trent’anni, il Parlamento si sono svolte con buona partecipazione e regolarità. È nuovamente peggiorata invece, dopo gli sviluppi positivi dello sgombero degli insediamenti israeliani dalla striscia di Gaza e del ritiro delle truppe, la situazione in Terra Santa, particolarmente a causa dell’attentato suicida del 26 ottobre ad Hadera, cui ha fatto seguito una serie di rappresaglie. Tanto più necessario diventa dunque uno sforzo convergente per non restare di nuovo prigionieri della spirale della violenza. Hanno malauguratamente contribuito ad aumentare le tensioni nell’intera area medio-orientale le dichiarazioni – francamente inaccettabili – del Presidente della Repubblica iraniana contro l’esistenza dello Stato d’Israele.

In Africa, pur in presenza di tante situazioni di estrema difficoltà, per la fame e la sete, il diffondersi di malattie contagiose, i conflitti endemici – da ultimo gli scontri ad Addis Abeba in Etiopia -, continuano i tentativi coraggiosi di stabilire condizioni di pace e di autentico sviluppo: ad esempio, in questo mese di novembre, nella regione dei Grandi Laghi, dove si sono consumate tante tragedie. Preoccupa però grandemente il ritardo che già si sta registrando nel dare attuazione agli impegni presi a luglio nella riunione dei Paesi del G 8. In un contesto internazionale di questo genere pesa maggiormente la scarsezza di una presenza concorde e dinamica, e pertanto efficace, dell’Unione Europea, che stenta a riprendere il proprio cammino dopo gli esiti negativi di alcuni referendum sul Trattato costituzionale. L’improvviso dilagare di atti vandalici e violenze nelle periferie di Parigi e di tante altre città francesi, ad opera di giovanissimi figli e nipoti di immigrati, mostra quanto siano profondi, complessi e bisognosi di vigile attenzione i problemi e le difficoltà che possono porsi sulla strada di una effettiva integrazione.

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Nel panorama politico italiano ha già assunto forte rilievo la scadenza elettorale della primavera prossima. La Camera dei Deputati ha approvato infatti, nonostante la forte opposizione della minoranza, la nuova legge elettorale su base proporzionale con premio di maggioranza che, se sarà confermata al Senato, potrà generare modifiche profonde negli assetti politici e nelle dinamiche di governo, sulle quali è in corso un acceso dibattito. Pochi giorni dopo hanno avuto luogo le elezioni “primarie” per la designazione del candidato a Primo Ministro del centro-sinistra, con larga partecipazione popolare. È seguita a breve distanza l’approvazione in seconda lettura, da parte della Camera dei Deputati, della riforma della seconda parte della Carta costituzionale. Manca ancora soltanto un ultimo voto favorevole del Senato per queste norme assai controverse, che dovranno essere poi sottoposte a referendum popolare confermativo.

È stato invece definitivamente approvato il provvedimento di riforma della docenza universitaria, pur tra accese manifestazioni di protesta. Nelle ultime settimane, per la verità, simili manifestazioni si sono succedute con grande frequenza e per motivazioni molto diverse, con toni che a volte sono sembrati eccessivi e con forme non sempre accettabili. Il 13 ottobre ho sottoscritto con il Ministro competente gli “Obiettivi specifici di apprendimento” per l’insegnamento della religione cattolica nei licei e negli istituti di istruzione e formazione professionale: è stato completato così il previsto adeguamento dell’insegnamento della religione alle modifiche introdotte dalla riforma scolastica. In un contesto economico e sociale dove gli accenni di ripresa si sono intensificati, almeno sotto alcuni aspetti, ma le preoccupazioni e i motivi di incertezza rimangono grandi, la legge finanziaria attualmente all’esame del Parlamento non può certamente prescindere dall’obiettivo di contenere la spesa pubblica. Ciò non deve comportare però una compressione dei fondi per il sostegno alle fasce più povere della popolazione, o ulteriori decurtazioni di quelli destinati alla cooperazione internazionale.

Un tema nevralgico è quello delle politiche per il Mezzogiorno, dove i segnali positivi che vengono dalla società civile, come ad esempio l’intesa tra il Forum del Terzo Settore e le Fondazioni bancarie denominata “Progetto Sud”, hanno bisogno di essere sostenuti da interventi, in particolare sulle grandi infrastrutture, che mettano il Meridione in condizioni di minore svantaggio rispetto alle altre aree del Paese. L’omicidio a Locri di Francesco Fortugno, Vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, è stato una nuova manifestazione del peso insopportabile che la criminalità organizzata continua ad esercitare sulla vita di alcune regioni d’Italia. La grande risposta data nei giorni successivi soprattutto da tanti giovani è comunque un chiaro segno di speranza, mentre si è alzata forte la voce della Chiesa e si intensifica l’impegno dello Stato per contrastare questo gravissimo e purtroppo assai radicato fenomeno. Sappiamo bene d’altronde come la sconfitta delle organizzazioni malavitose sia indispensabile per lo stesso sviluppo economico e come d’altra parte proprio le condizioni di arretratezza e mancanza di lavoro favoriscano il reclutamento di forze per la criminalità: questa spirale perversa va pertanto simultaneamente aggredita in entrambi i suoi aspetti. Un capitolo della legge finanziaria che ci sta altrettanto a cuore è quello che riguarda la famiglia e il sostegno per la nascita e il mantenimento dei figli.

Gli aiuti per i nuovi nati, come anche per le giovani coppie che acquistano casa e per le famiglie che mandano i figli negli asili nido, sono certo dei segnali positivi. Si rimane però nell’ambito di cifre che non consentono di impostare una politica familiare capace di incidere seriamente sull’andamento demografico. A una tale politica devono certamente aggiungersi altri fattori culturali e sociali di fondamentale importanza – per promuovere i quali anche la pastorale della Chiesa deve operare senza stancarsi – e soprattutto le concrete scelte di vita delle coppie e delle famiglie. Le parole “senza figli non c’è futuro”, già pronunciate da Giovanni Paolo II e ripetute da Benedetto XVI nell’Udienza generale di mercoledì 2 novembre rivolgendosi all’Associazione Nazionale Famiglie Numerose, esprimono dunque, insieme ad una verità fin troppo evidente, l’avvertimento più serio per quanti hanno peculiari responsabilità nella vita sociale e per tutto il nostro popolo. Il leggero incremento del tasso di natalità che si registra costantemente nel nostro Paese in questi ultimi anni rappresenta, in un quadro che rimane assai oscuro, un segno di speranza. Ben diverso è, purtroppo, il segnale che viene dalla corsa, in atto in alcune regioni, ad introdurre l’uso della pillola abortiva RU-486. Si compie così un ulteriore passo in avanti nel percorso che tende a non far percepire la reale natura dell’aborto, che è e rimane soppressione di una vita umana innocente.

Un grande motivo di preoccupazione nasce dal rapido diffondersi del consumo della cocaina, droga devastatrice anche se presentata come piacevole stimolante. In realtà sul versante della droga l’Italia rimane pesantemente esposta, anche e sempre più per quanto riguarda i giovanissimi, con enormi sofferenze di tante famiglie. Si impone dunque un deciso incremento dell’attenzione e degli sforzi, sul triplice fronte della prevenzione, della repressione e della cura e ricupero dei tossicodipendenti. Questa mattina, cari Confratelli, ho partecipato alla commemorazione, alla presenza del Capo dello Stato, della storica visita compiuta al Parlamento italiano, tre anni or sono, da Giovanni Paolo II. Nell’occasione il Nunzio Apostolico ha letto un importante Messaggio di Benedetto XVI: ricordando, secondo le parole del suo Predecessore, gli “impulsi altamente positivi” che sia la Chiesa sia l’Italia hanno tratto dal loro profondo legame attraverso i secoli, il nuovo Pontefice ha auspicato che “tale spirito di sincera e leale collaborazione si approfondisca sempre più” ed ha ribadito che la Chiesa “non intende rivendicare per sé alcun privilegio, ma soltanto avere la possibilità di adempiere la propria missione, nel rispetto della legittima laicità dello Stato”.

Nello stesso solco si collocano le parole di Benedetto XVI, all’omelia della Messa di apertura del Sinodo dei Vescovi, sull’ipocrisia contenuta nei tentativi di bandire Dio dalla vita pubblica, come pure il Messaggio da lui inviato al Presidente del Senato in occasione del convegno di Norcia su libertà e laicità, con l’affermazione della “laicità positiva”, aperta alla Trascendenza, e dei diritti fondamentali “iscritti nella natura stessa della persona umana e … pertanto rinviabili ultimamente al Creatore”. Ricordiamo bene, inoltre, le parole che il Papa ha aggiunto a braccio, nel suo intervento alla nostra Assemblea Generale di fine maggio, “non lavoriamo per l’interesse cattolico ma sempre per l’uomo creatura di Dio”. Vorremmo dire dunque, con serenità e senza alcuno spirito polemico, a quanti temono o lamentano una eccessiva presenza o anche ingerenza della Chiesa nella vita pubblica italiana, che la pace civile e religiosa sta molto a cuore anche a noi e che la Chiesa è consapevole di dover essere fattore di unità e non di divisione dell’Italia. L’impegno aperto e concreto a favore della persona umana, “con i valori inerenti alla sua dignità individuale e sociale” – secondo le parole del Messaggio odierno di Benedetto XVI -, non rappresenta a nostro avviso una violazione della laicità della nostra Repubblica, ma piuttosto un contributo, offerto alla libertà di ciascuno, per il suo bene autentico. Una Chiesa che tacesse su questi temi, per salvaguardare i propri pur legittimi interessi istituzionali, non farebbe invero molto onore né a se stessa né all’Italia. Cari Confratelli, ieri mattina, insieme a due religiose italiane, è stato iscritto nel numero dei Beati Charles de Foucauld: nel mezzo degli impegni pastorali e dei dibattiti pubblici non perdiamo di vista la sua testimonianza di una totale sequela di Gesù nell’umiltà, nel nascondimento e nella dedizione ai più poveri dei fratelli.

Chiediamo al Signore di guidare e illuminare con il dono del suo Santo Spirito queste giornate di preghiera e di lavoro comune. Intercedano per noi la Vergine Maria, Madre della Chiesa, il suo sposo Giuseppe, i Santi Francesco e Chiara di Assisi. Vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre.