Tintoretto, il ciclo di Santa Caterina e la quadreria del Palazzo Patriarcale

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La seconda mostra nasce dall’appena cominciato profondo restauro di strutture, impianti, decorazioni del Palazzo Patriarcale di Venezia (l’edificio di metà Ottocento a fianco della millenaria Basilica di San Marco). La mostra, al chiostro di Sant’Apollonia del Museo Diocesano, “Tintoretto, il ciclo di Santa Caterina e la quadreria del Palazzo Patriarcale”, rende visibili fino al 30 luglio 2006 capolavori difficilmente alla portata del pubblico per ragioni intuibili. Sono 42 fra dipinti (di solito di grandi e grandissime dimensioni, fino a tre-quattro metri), affreschi staccati, cartoni preparatori dei mosaici di San Marco con le figure di San Pietro e San Paolo (nella facciata) e di otto profeti. I soggetti sono tutti religiosi ad eccezione di tre inediti paesaggi campestri settecenteschi. La mostra prosegue con le argenterie liturgiche della Sala degli Argenti e le opere lignee con una pala di Paolo Veneziano che fanno parte del Museo Diocesano. Curatore della mostra don Gianmatteo Caputo, direttore del “Diocesano” e dell’ufficio beni culturali del Patriarcato (catalogo Skira). A conclusione dell’intervento sul Palazzo Patriarcale (24 mesi, 7,5 milioni di euro) le opere non torneranno ad essere invisibili: il patriarca Angelo Scola si augura che ne possano godere “anche la nostra gente e tutti i visitatori”.

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La collezione del Patriarca riunisce opere dal Quattrocento ai giorni nostri (in mostra ci sono anche tre ritratti di anonimo con i patriarchi di Venezia diventati papi, i cardinali Sarto, Roncalli, Luciani). Provengono soprattutto da chiese soppresse o non più aperte al culto, istituzioni religiose cancellate, oltre a donazioni e prestiti temporanei.
Il nucleo più importante della collezione (e della mostra), il ciclo di sei grandi tele con le storie di Santa Caterina d’Alessandria realizzato da Jacopo Tintoretto e bottega nella seconda metà del Cinquecento, è di proprietà della soprintendenza per il Polo museale veneziano. E’ la prima volta che viene presentato nella sua interezza da quando, nel 1974, è stato tolto dalla trecentesca chiesa veneziana di Santa Caterina per la quale era stato fatto. Il “Martirio delle ruote” comparve alla storica mostra sul Tintoretto a Cà Pesaro nel 1937 e tre tele alla ridotta mostra del Tintoretto a Parigi nel 1998. Si tratta di un gruppo di dipinti “poco considerati dalla critica” forse proprio per la loro collocazione, commenta Giovanna Nepi Scirè soprintendente del polo, ma che ristudiati nell’occasione hanno precisato date e ridimensionato il ruolo della bottega (fra cui il figlio di Jacopo, Domenico).

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I sei teleri furono salvati dalla chiesa di Santa Caterina, una delle tante chiese veneziane dalla secolare storia di usi impropri, degrado, recuperi parziali, abbandono, alla quale l’incendio del Natale 1977 finì per distruggere quello che aveva di più importante, il soffitto ligneo della navata centrale a carena di nave, uno degli ultimi esempi rimasti a Venezia. Col soffitto andarono perduti la volta del presbiterio affrescata dal Brusaferro, tre grandi quadri, i dossali intagliati del coro e furono rovinati i rilievi dell’altar maggiore e gli angeli. Perduta anche la copia moderna (ma particolarmente riuscita tanto da aver tratto in inganno gli esperti) del celebre capolavoro di Paolo Veronese, lo “Sposalizio di Santa Caterina” posto sull’altar maggiore (ora alle Gallerie dell’Accademia). Le sei tele del Tintoretto e C. (con dimensioni 1,70-1,75 per 2,30 metri) facevano corona, completavano quell’opera, disposte sulle pareti laterali a narrare le storie dell’intrepida vergine martirizzata sotto Massenzio ad Alessandria d’Egitto il 25 novembre 305. Caterina viene rappresentata mentre tiene testa con dotti argomenti all’imperatore che vuole farle sacrificare agli dei, agli esperti chiamati in soccorso da Massenzio, e poi in vari passaggi del martirio, fustigazione, imprigionamento, supplizio delle ruote che però si spezzano, e infine nella decollazione ripresa un momento prima, quando Caterina invoca l’aiuto di Cristo non per sé, ma per chi ha timore della morte (è il telero in cui maggiormente si riconosce la mano di Jacopo col figlio Domenico). A Caterina, imitatrice della passione di Cristo e sua identificazione, Cristo appare per farla sua sposa con le parole del Cantico dei cantici: “Vieni dilecta mia, speciosa mia”.

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Nel ciclo l’iconografia di Santa Caterina “arriva al culmine” del nuovo modello di santità nell’arte dettato dal Concilio di Trento nel dicembre 1563. La santa non è più comprimaria come in una pala “sontuosa”, “di impronta mistica-medievale”, ma protagonista di una “storia”, in “una luce Cristo-centrica”, ed esplica pienamente la sua funzione mediatrice per i comuni mortali (in contrasto con la Riforma protestante). Anche con spregiudicata fedeltà formale se nei tre teleri delle torture Caterina, raffigurata di solito come una giovane in ricche vesti, a volte con una corona in testa, appare nuda salvo un perizoma, con il corpo di un bianco luminoso fra i rossi, gli arabeschi, le armature nere, le ombre delle prigioni, i fasci dorati della luce della salvezza.

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In mostra i sei teleri sono diventati sette perché è stata aggiunta la spropositata tela (4,15 per 3 metri) dipinta nel 1618-23 da Jacopo Palma il Giovane: “La madre di Santa Caterina consulta i saggi per le nozze della figlia” e che proviene dalla stessa chiesa veneziana (nel Palazzo Patriarcale, per le dimensioni occupa l’atrio).
Ad aprire la mostra è un capolavoro di Giovan Battista Tiepolo (1732 circa), una “Natività” imponente per le dimensioni (1,30 per 2,70 metri) e dall’iconografia rara con il Bambino steso su di un panno bianco nelle braccia di Giuseppe, in gruppo isolato, mentre la Madonna in veste rosa e manto blu è in primo piano, in adorazione.
Proviene dalla basilica di San Marco e nella cappella privata del Palazzo Patriarcale è la pala dell’altare su cui celebra il patriarca. Nella stessa cappella è la “Deposizione” di Gregorio Lazzarini (inizio Settecento) di forma allungata, quasi tre metri, con l’impressionante resa delle costole del Cristo riverso. Con “L’Ultima Cena” si passa alla sala da pranzo del Patriarcato: è attribuita a Jacopo Palma il Giovane (1620 circa) che ha scelto colori dominanti viola e cremisi e risolve in modo originale il momento che mette in subbuglio gli apostoli, l’annuncio del tradimento. Vari apostoli sono in piedi o stanno per scattare, a protestare fedeltà a Cristo.

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“Tintoretto, il ciclo di Santa Caterina e la quadreria del Palazzo Patriarcale”. Dal 6 ottobre al 30 luglio 2006. Venezia. Museo Diocesano di Venezia
Chiostro di Sant’Apollonia, Castello 4312. A cura di don Gianmatteo Caputo, direttore del Museo Diocesano. Promossa dal Patriarcato di Venezia (Ufficio promozione beni culturali) con la collaborazione delle soprintendenze e della Procuratoria di San Marco. Organizzazione e produzione Arthemisia. Catalogo Skira.
Orari : tutti i giorni 10-18 (la biglietteria chiude alle 17,30).
Biglietti: intero 8 euro; ridotto 6; scuole 3. Ingresso al chiostro romanico di Sant’Apollonia 1 euro. Informazioni e prenotazioni sede mostra 041-5229166;
e-mail: [email protected]