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La donna nel cristianesimo del nostro tempo

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Qualche anno fa la filosofa italo-australiana Rosi Braidotti propose la categoria del nomade per dire la soggettività emergente delle donne.

Il nomade, diceva, non solo tiene conto delle varie differenze tra donne, di età, di cultura, di orientamento sessuale, di ceto sociale e via dicendo ma respinge qualsiasi definizione monolitica del proprio essere. Rifuggendo dall’egemonia di un solo pensiero, cultura, o lingua il nomade spazia attraverso le categorie e i livelli di esperienza dominanti.. rende[…] indefiniti confini senza bruciare i ponti l.

Il nomade non si stabilisce mai in un punto fisso ma è sempre in movimento, in ricerca e quindi il nomadismo non è la fluidità priva di confini bensì la precisa consapevolezza della non fissità dei confini. È l’intenso desiderio di continuare a sconfinare, a trasgredire.

Il nomade si caratterizza, da un lato, per il senso di non aver casa e, dall’altro, per la capacità di essere a casa dovunque. lo mi sono sempre sentita molto a casa con l’idea del nomade, d’altronde come potrebbe essere altrimenti se conto tra i miei antenati non solo Sara e Abramo al quale Dio disse “Vattene dal tuo paese e dalla tua gente e dalla casa del tuo padre nel paese che io ti mostrerà (Gen 12,1) ma anche lo stesso Gesù” il quale andava per le strade della Palestina senza “un luogo dove posare il capo” invitando altri a seguirlo sulla stessa via? Uno dei primi confini che ho attraversato è quello della patria: lasciata l’Inghilterra più di trent’anni fa ho vissuto per la maggior parte del tempo in Italia, paese di cui ho adottato lingua, cultura, storia (nonostante gli anni passati sia in Svizzera che in Spagna).

Essendo cittadina italiana, pur rimanendo straniera, svolgo il mio lavoro esclusivamente in ambito italiano: al Sud dove ho svolto la maggior parte del mio ministero, al Nord dove ho vissuto per un periodo breve di tempo e al Centro dove attualmente risiedo da un paese circondato dai mari freddi del nord sono venuta ad abitare in un paese circondato dal mare in mezzo alla terra: il Mediterraneo. Da un paese a maggioranza protestante, non solo dal punto di vista della confessione religiosa, ma soprattutto dal punto di vista culturale, Sono venuta a fissare la mia tenda in un paese formato si in secoli di cattolicesimo.

Ma in Inghilterra non facevo parte della chiesa dell’ establishment anglicano bensì delle chiese cosiddette non conformiste (metodiste) così in Italia faccio parte di una esigua minoranza evangelica in generale e battista in particolare. Non è stato facile operare in un paese ostico fino a pochi anni fa alla mera idea del pluralismo religioso, dove il cristianesimo viene identificato esclusivamente con una sola delle sue tre confessioni e le altre religioni sono pressoché sconosciute e spesso denigrate. Ma a dialogare, e a lavorare oltre i confini confessionali, sono stata abituata avendo conseguito io, studentessa protestante, una specializzazione in un’università non solo cattolica ma anche pontificia. Così spesso e volentieri mi trovo come evangelica a collaborare con associazioni di ispirazione cattolica soprattutto intorno a temi attinenti alla donna, alla pace, alla giustizia sociale.

Attraversare i propri confini confessionali è stato senz’altro frutto della mia formazione e esperienza di teologa femminista. Sono le donne delle diverse confessioni cristiane a cominciare dagli anni Settanta a pensare il cristianesimo a partire dalla differenza di genere. E molto spesso si è scoperto che le differenze confessionali sono frutto di un pensiero, di una storia e di un modo di porsi nel mondo che non ci appartengono del tutto.Senza glissare sulle nostre differenze, siamo accomunate dal nostro essere donne in un mondo fatto a misura del genere maschile, dal nostre essere donne credenti in una chiesa imperniata sull’ordine socio-simbolicomaschile.

Così, in tutto il mondo si sono costituite associazioni di donne che si adoperano non solo per i diritti delle donne nella società ma anche per una chiesa amica delle donne, per un pensiero cristiano all’insegna della differenza femminile. Il Consiglio ecumenico delle chiese ha indetto dal 1988 a 1998 un decennio di solidarietà delle chiese con le donne,decennio che si è svolto anche nel nostro paese dove si è costituita un’ associazione interconfessionale di donne teologhe.Il cristianesimo, cioè, incontra i movimenti sociali, il movimento delle donne nel quale sono stata attiva in modo particolare, ma anche il movimento per la pace, il movimento ambientalista.

Altri confini vengono attraversati, la propria azione, il proprio pensiero vengono arricchiti dall’azione e dal pensiero altrui. Se dovessi quindi trovare un filo conduttore nel mio percorso di vita di donna cristiana che si muove piuttosto sui confini, non solo della propria chiesa ma anche della propria fede, indicherei la libertà, libertà interiore, da una parte, esteriore, dall’ altra. Libertà da tutto ciò che da dentro erode la nostra dignità, rendendoci incapaci di muoverci fiduciose per il mondo: le paure, l’ansia, il senso di inadeguatezza,persino l’odio che spesso nutriamo verso noi stesse, il perenne senso di colpa. Per me l’amore mostrato da Dio in Gesù rappresenta e rende presente tale libertà: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente i miei discepoli; e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv9,32). Ma libertà anche da tutte le forze esterne che minacciano lo shalom,quella condizione di benessere globale che Dio sogna per tutta l’umanità:”Lo Spirito del Signore è sopra di me… mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato a proclamare la liberazione ai prigionieri… a rimettere in libertà gli oppressi e a predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18s). Libertà non solo DA, ma libertà per un mondo diverso all’insegna della pace, della giustizia, della solidarietà.

Ed è alla luce di questo progetto di libertà e di liberazione nel quale Dio vuole,credo, coinvolgerci che ho riflettuto su quale fosse il ruolo delle donne tra religione, politica e libertà di pensiero. Vorrei portare una testimonianza di vita da una realtà piccola e quasi insignificante se non fosse per le donne coinvolte. Per diversi anni sono stata ‘pastora’ a Gravina in Puglia, un paesone dell’entroterra dove la testimonianza battista aveva più di cento anni di vita. L’edificio della chiesa sorge al centro del paese e in esso si riuniva un centinaio di persone di generazioni diverse tutte di ceto medio-basso e di origine contadina.

La comunità si caratterizzava per l’alto numero di donne che ne faceva parte. Infatti, in una società i cui spazi erano rigorosamente divisi tra sfera pubblica maschile e sfera privata femminile, la chiesa si offriva come un tipo di spazio protetto in cui le donne potevano sviluppare le loro capacità politiche,di dialogo, di dibattito, di organizzazione, di azione. Le donne si trovavano in una situazione quasi ideale poiché ciò potesse accadere: la disoccupazione femminile era alta, molte delle donne facevano le casalinghe o,sposate giovani, avevano bambini piccoli da accudire, i loro mariti erano spesso emigrati per motivi di lavoro, oppure partivano presto la mattina e rientravano tardi la sera o tornavano solo a fin settimana.

Sbrigate le faccende domestiche, quindi, le donne erano signore del proprio tempo. In questo contesto cominciai un lavoro di presa di coscienza delle nostre potenzialità, capacità e responsabilità in quanto donne amate e chiamate da Dio. Insieme studiavamo i racconti del Nuovo Testamento per vedere come la figura di Gesù sembrasse essere un catalizzatore di libertà femminile. Cominciavamo a festeggiare l’8 marzo in chiesa, coinvol-gendo donne di associazioni di impostazione laica, nonché altri gruppi di donne di ispirazione cristiana. In questo modo si misero le basi per una collaborazione duratura tra le donne della chiesa evangelica battista e le donne di altri movimenti come le “Donne in nero” e delle associazioni perla pace, affrontando temi difficili come la violenza sulle donne. È questo un piccolo esempio di come le donne di quella comunità hanno saputo muoversi con sapienza e destrezza tra religione, politica e libertà di pensiero, misurando il grado di libertà che ognuna riesce a vivere senza mandare in frantumi un delicato equilibrio sociale e personale.Molte delle energie e delle capacità di queste donne sono andate riversandosi in una comunità ecclesiale che continua a crescere e a fornire spazio a donne delle giovani generazioni.

Qualcosa di analogo è successo poi a livello nazionale. Alcune di noi si sono poste la questione della scarsa presenza delle donne nelle strutture ecclesiastiche. Sebbene le strutture delle chiese evangeliche siano fondamentalmente democratiche e non esistano motivi di ordine teologico che impediscano la piena partecipazione delle donne, spesso mancano quelle abilità atte ad un pieno inserimento in tali strutture a livello sia locale che regionale e nazionale (consigli ecclesiali,assemblee, comitati, gruppi di lavoro e via dicendo).

Così insieme ad un’altra ‘pastora’ abbiamo ideato una serie di seminari il cui scopo era aumentare la fiducia delle donne nelle proprie capacità nonché fornire loro alcuni delle competenze necessarie per una partecipazione di stampo politico. In questo modo diverse donne senza esperienza di sorta hanno accettato incarichi a diversi livelli all’interno delle chiese evangeliche in Italia. È interessante, credo, rimarcare che a trarre maggiore beneficio da questo tipo di lavoro sono state donne del sud le quali, come abbiamo visto nell’esempio citato, vanno acquisendo capacità spendibili anche in altri ambienti.L’intreccio tra religione, politica e libertà di pensiero è senz’altro complesso e spesso i confini si attraversano in una unica direzione. È ben noto che la quasi onnipresenza in Italia di un unico pensiero religioso insieme alla sua istituzione -la Chiesa cattolica (e lo dico senza polemica) ha creato come sua controparte, un laicismo se non antagonista almeno indifferente al fatto religioso. Le chiese evangeliche ben accettano e difendono la laicità dello stato e sovente i fini che le chiese si propongono coincidono con i fini di associazioni umanitarie di ispirazione anche laica.

Così,molte chiese sono ben contente di affiancare tali associazioni nel lavoro per la pace, per i diritti umani, per le donne. Eppure spesso le chiese trovano incomprensione e soprattutto indifferenza verso la natura fondamentalmente religiosa del proprio impegno in tali campi. La religione è una delle realtà di cui moltissime persone fanno a meno oppure, deluse dal cristianesimo finora conosciuto, molte persone rivolgono la loro attenzione a movimenti di ispirazione buddista, indù, neo pagana od altro. Personalmente considero positiva ogni ricerca di spiritualità sia per le ricchezze presenti in altre forme religiose sia perché il confronto ha l’effetto salutare di mettere in risalto le lacune della mia tradizione di appartenenza. Tuttavia, a parte alcuni settori del cristianesimo, le chiese di solito non vedono di buon occhio tale ricerca religiosa e tendono ad arroccarsi su posizioni consolidate. Inoltre, si sentono talvolta in difficoltà davanti a minoranze religiose presenti nel nostro paese appartenenti ad altre fedi del bacino mediterraneo, come l’Islam.

Si sta verificando una pericolosa identificazione tra italianità e cattolicesimo a scapito non solo dei “nomadi”(sia italiani che persone che risiedono in Italia di altre confessioni e fedi) ma anche dei “migranti”, cioè di persone che non hanno scelto liberamente di attraversare confini ma che ci sono state costrette da forze economiche e politiche, persone che spesso occupano una posizione più vulnerabile all’interno dell’ attuale assetto sociale .La questione che sto sollevando è la seguente: che cosa accade alla libertà femminile quando le chiese si mettono sulle difensive?

Credo che le chiese per paura di perdere terreno ripristinino gli schemi del passato emarginandole istanze di libertà alloro interno. Poiché sia nella chiesa cattolica che in quelle evangeliche la voce delle donne si è alzata contro l’egemonia di un ordine sociale e simbolico maschile, quella voce va fatta tacere nel momento in cui la chiesa si sente minacciata da varie forze sociali. I confini delle istituzioni ecclesiastiche si irrigidiscono, si riprende il controllo su soggetti “ribelli”, si cerca di ricondurre le donne e il loro pensiero a posizioni più congeniali alla gerarchia. In altre parole, a pagare il prezzo di una chiesa non più aperta e accogliente sono spesso le donne.

Il paradosso è che a volte tale chiusura nei confronti delle donne favorisce un dialogo interreligioso tra uomini. Dal momento che le religioni del bacino del Mediterraneo sono d’impronta fortemente patriarcale, una contrattazione tra maschi ad esclusione delle donne è certamente molto più semplice. Non che tale manovra sia solo appannaggio del dialogo interreligioso, ma può verificarsi anche tra diverse realtà di confessione evangelica.Credo sia importante riconoscere la complessità del dialogo interreligioso tenendo conto delle differenti posizioni che gli esponenti di religioni diverse occupano nella società, ossia della loro diversità in termini di potere sociale. Un’identità religiosa e/o culturale che si sente minacciata potrà assumere posizioni oltranziste per quanto riguarda la donna non tanto per convinzioni squisitamente religiose quanto per revanche sociale e culturale. Credo che la sfida che spetta alle religioni del bacino mediterraneo sia quella di creare un clima di apertura, fiducia e sicurezza per favorire un genuino dialogo e una pacifica convivenza. Che ciascuna sia libera dalle proprie paure, insomma, per accettare e accogliere fiduciosa l’altra.

Mi piace pensare che qui le donne potrebbero giocare un ruolo importante; in primo luogo perché per quanto le esperienze siano declinate in modo molto diverso, l’essere donna ci accomuna; in secondo luogo,perché chi un modo, chi in un altro occupiamo tutte posizioni marginali all’interno delle nostre rispettive fedi. Detto ciò, le donne delle diverse religioni in Italia sono anche spesso divise, dalla loro condizione sociale,economica e culturale. Saremo capaci di diventare tutte un po’ nomadi per poter attraversare questi confini? E gli uomini saranno capaci di assumere la loro ‘differenza di genere’? Ho cominciato il mio intervento richiamandomi alla libertà veicolata per me dalla fede cristiana. Infatti lo specifico della fede battista all’interno del protestantesimo è proprio la sua insistenza sulla libertà di coscienza,sulla libertà di ciascuno e di ciascuna di credere o di non credere secondo la propria coscienza. “Dov’è lo Spirito, là c’è libertà” scriveva l’apostolo Paolo. Dalle sue lettere alla chiesa di Corinto possiamo desumere due cose: in primo luogo che quella libertà aveva a che fare col genere,intaccava, scombussolava, trasformava l’idea che la donna aveva di se stessa e del suo ruolo dentro e fuori la comunità di credenti; in secondo luogo, che i risultati di quella libertà in Cristo sperimentata dalle donne fu oggetto di limitazioni da parte maschile.

È una storia che si ripete lungo il cristianesimo. Eppure il già arcivescovo anglicano di Città del capo e vincitore del premio Nobel per la pace Desmond Tutu sostiene che l’essere umano è fatto per la libertà e niente e nessuno potrà impedire che lui e lei siano liberi. Il motivo per cui ogni oppressione è destinata al fallimento è che siamo stati creati per essere liberi..

Questo nostro desiderio di libertà non può essere sradicato. “Libero finalmente libero” + scritto sulla tomba di Martin Luther King, assassinato a causa del suo impegno a favore dei diritti civili negli Stati Umani. Se non tutti sanno che Martin Luther King era un pastore battista ancora meno sanno che diventò leader del movimento di resistenza nonviolenta grazie all’azione di una donna, Rosy Parks. Fu il gesto semplice della Parks a scatenare le proteste che portarono King a capo del movimento. Rosy Parks infatti esercitò la sua libertà rifiutando di alzarsi dal posto riservato ai bianchi sull’autobus dove era seduta. Saranno forse i piccoli gesti di donne altrettanto anonime, donne delle varie religioni le quali nolenti o volenti hanno attraversato confini diverse a creare un clima dove uomini e donne delle diverse religioni vivranno insieme in pace.

Perciò, per inclinazione, per capacità, il mio ministero non si è svolto sul grande palcoscenico della vita pubblica, ho lavorato, lavoro piuttosto dietro le quinte facendo quella piccola politica delle donne che ho cercato di descrivere. D’altronde per alcune esponenti del movimento delle donne, la”politica delle donne” significa che: “Ciascuno deve far politica per sé e a partire da sé, mettendo in gioco quel poco o tanto di saggezza, di esperienza di cui è capace” Il nomade, si è visto, è senza fissa dimora ma fa di ogni dimora la sua casa. Mi piace pensare che compito delle religioni è contribuire a fare sì che questa terra diventi una casa per tutti i popoli, un vero ‘ecumene’,ossia un mondo abitabile in cui ciascuno e ciascuna di ogni e di nessuna fede si senta a proprio agio, trovi la propria dimora, sia al sicuro.

Un luogo dove il Dio nomade possa sentirsi a casa. Per l’Italia, per i popoli del bacino del Mediterraneo, immagino qualcosa di simile ad una frase diffusa del Consiglio nazionale delle chiese indiane: “Tempio, moschea, sinagoga,chiesa, laddove c’è amore tra le persone ivi c’è la mia dimora”.