guerra in iraq

I beni culturali in tempo di guerra (Parte I)

Pubblicato il Pubblicato in Arte e cultura

La distruzione di Montecassino e dei Ponti sull’Arno: i beni culturali in tempo di guerra (Parte prima)

Jeanne Belhumeur e Angelo Miatello

Introduzione generale. Questo dossier sui “crimini artistici” di guerra è una sintesi della relazione letta e dibattuta al V Colloquio internazionale sul commercio dell’arte, svoltosi a Vienna nel 1994. Fu organizzato dall’Institut du droit et des pratiques des affaires internationales de la Chambre de Commerce Internationale di Parigi. Lo studio è limitato ad alcuni casi che hanno avuto come oggetto gli attentati ai beni culturali italiani in seguito ai conflitti armati e all’evoluzione delle norme internazionali relative al divieto e al recupero di beni artistici sottratti dai belligeranti. La parte completa con altri materiali di discussione ed un progetto di convenzione AIDA contro l’urbicidio è pubblicata nel sito www.associazioneaida.net (rubrica “Salvaguardia Patrimonio”). Si rinvia pertanto per l’ampia lettura disponibile. Ci si augura che sia da stimolo per un approfondimento storico-giuridico anche da parte di studenti laureandi. Siamo a disposizione per una collaborazione (e-mail: [email protected]).

Il concetto di opera d’arte. Fino alla fine del Medio Evo si distingueva tra le opere delle arti meccaniche (lavoro manuale, pittura, scultura, edificio) e le opere delle arti liberali (lavoro del cervello, lavoro intellettuale), che avevano un grado superiore. L’origine della protezione delle opere d’arte in tempo di guerra è legata al grado che acquisisce dal Rinascimento l’arte e l’artista. L’opera d’arte è un atto di creazione. Questo concetto si diffonde nella Firenze del Rinascimento.Purtroppo la pratica delle guerre del 1500 e 1600 contraddice questo principio della filosofia rinascimentale.

La dottrina internazionalista. I padri del diritto internazionale sono dell’avviso che la guerra deve essere giusta, riconoscendo che il bottino di guerra non deve superare i principî del diritto naturale (vedi Grotius, Alberico Gentili, Vattel, XVI sec.). Il secolo dell’Illuminismo (XVII secolo). L’autore italiano Justin Gentilis (1632-1704) afferma che il diritto delle genti non ammette nè distruzione nè trafugamento (enlèvement) di cose che non abbiano una importanza per la condotta della guerra. Cita espressamente diversi tipi di oggetti culturali.

Restituzioni dei beni trafugati (pillès). Nei Trattati di pace del XVII secolo (vedi per esempio il trattato di Munster del 1648, fra la Spagna e i Paesi Bassi) sono incluse delle clausole che si devono restituire i beni sottratti alle persone. Gli archivi fanno parte del territorio, dunque devono essere ricostituiti (Trattato di Nimega del 1678, fra la Spagna e la Francia). La Rivoluzione francese, come del resto la Riforma protestante hanno arrecato molti danni ai beni culturali, erano quest di proprietà dei regnanti (vedi Parigi) o dentro le Chiese (vedi le chiese calviniste a Ginevra).

Parigi, capitale culturale ed artistica. Naturalmente l’uomo “rivoluzionario” o protestante non poteva vivere senza ricordi culturali. Ecco che il grande Napoleone, desideroso di costruire un Impero, ha il disegno preciso di ristabilire Parigi anche come capitale culturale e artistica. Nell’ottobre 1794, un organo speciale fu istituito dalla Commissione temporanea delle arti per raccogliere le informazioni relative alle opere artistiche e scientifiche dei paesi di cui la conquista era già stata pianificata.

Italia, vittima dei saccheggi. L’Italia è una delle maggiori vittime del saccheggio, dell’ esproprio, e dell’appropriazione causati (indebitamente) dalle truppe napoleoniche. I cavalli di San Marco, le tele dei maestri italiani sono arrotolate, i bronzi, le statue, insomma tutto quello che poteva essere bello prende il volo…marittimo per Parigi. Addio Botticelli, Correggio, Michelangelo, Raffaello, Tintoretto, Veronese, e quanti ancora….

Nell’accordo sulla sospensione delle armi, firmato con i rappresentanti del Papa il 23 giugno 1796 a Bologna vi è la clausola: “Il Papa consegnerà alla Repubblica francese cento quadri, busti o statue, a scelta dei commissari che saranno inviati a Roma, e cinquecento manoscritti a scelta degli stessi commissari”. Queste disposizioni le troviamo anche nei Trattati di Parma del 1796, di Modena e di Venezia del 1797.

Il catalogo del Louvre. Il catalogo del Museo del Louvre, pubblicato nel 1810, testimonia la magnifica “dote” che Napoleone si è astutamente confezionato. Il Congresso di Vienna. Purtroppo la disintegrazione dell’impero napoleonico sebbene decretata dal Congresso di Vienna del 1815, non ha prodotto il grande ritorno delle opere trafugate e ben custodite nei depositi dei sotterranei del Louvre. L’Italia può aspettare !

Il bottino artistico è contestato. Al Congresso di Vienna dell’11 settembre 1815 si sancisce il principio che “il bottino di guerra di beni artistici è contrario ad ogni principio di giustizia”. La restituzione di oggetti d’arte con i trattati del 1866. Nel Trattato di pace del 1866 tra l’Austria e l’Italia si stabilisce che “gli archivi, gli oggetti d’arte e di scienza devono essere restituiti” ai luoghi dove si trovavano. Il concetto di “necessità militare”. Il bottino di guerra è comunque collegato al concetto di “necessità militare”. In tutte le scuole di ufficiali militari questo concetto è ribadito come avente valore consuetudinario, cioè regola ormai accettata da tutti. Gli scrittori tedeschi del XIX secolo, prendendo spunto dalla filosofia prussiana, affermano che la trasgressione al principio di non procurarsi beni (anche artistici) altrui può avvenire se ci sono “circostanze straordinarie, cioè l’estrema necessità” (Kriegsraison superiore alla Kriegsmanier, vedi lo studio di Nahlik).

Le Nozze di Cana del Veronese in cambio della Madeleine des Pharisiens di Le Brun. Ancora oggi leggiamo con passione sulla stampa mondiale che il magnifico quadro del Veronese di 76 metri quadri è in bella mostra alla Sala n. XXVIII del Grande Louvre. La storia la conosciamo oramai bene e non è necessario di ritornarci. Infatti l’architetto Palladio aveva commissionato al Veronese un soggetto e una grandezza di quel tipo per riempire il refettorio della Basilica di San Giorgio a Venezia. Però su un piano strettamente giuridico forse possiamo ancora fare qualche ragionamento interessante.

Il bene mobile diventa monumento. La teoria dell’opera legata all’ambiente dove è sempre stata ammirata e per il quale è stata concepita non è italiana, bensì proprio di un tribunale francese. Si decise appunto per un caso analogo che certi affreschi asportati illegalmente da una chiesetta francese dovessero ritornare nel luogo di origine, sebbene fossero stati acquistati in buona fede da un museo. La querelle continua fra i Francesi e gli amatori dell’arte. Da una parte il Veronese è al sicuro e dà prestigio all’Arte veneziana, dall’altra però fa pena sentire argomenti di contrarietà per tenerselo da parte dei responsabili parigini. L’hanno ben restaurato, conservato e tutelato da possibili furti (portato lontano in campagna durante la calata dei nazisti).

Louvre “dèpendance” di Firenze e Venezia. Ciò non toglie di pensare che il Louvre sia una “dèpendance” dei Musei fiorentini e veneziani e che gli Italiani possano definirsi come cittadini dal doppio “passaporto”, dato che queste opere non sono state restituite dopo il 1815. Si potrebbe persino insinuare la gratuità per i visitatori italiani nel visitare le Sale del Louvre. Anzi lo proporremo al prossimo Congresso sul commercio dell’arte.

La Stele di Axum in cambio di un ospedale. Tutti conoscono la storia ricca di vicende africane del periodo di Mussolini. La storia della Stele di Axum comunque fa anche ridere. Sembra che ci siano stati accordi “privati” o perlomeno d’intesa tra l’Imperatore Hailè Selassiè ed il governo italiano. La Stele di Axum del primo secolo dopo Cristo poteva “rimanere” in piazza – di fronte al Palazzo della FAO, ex-sede del Ministero dell’Africa – se gli Italiani avessero costruito un ospedale ad Addis Abeba con l’aiuto italiano (estate 1970).

La regola della “tabula rasa”. Gli internazionalisti italiani contemporanei ci hanno insegnato che per la regola della “tabula rasa” tutti gli accordi bilaterali precedenti di Stati che si succedono devono essere rifatti. Dunque se questa regola vale per i nuovi Stati della Ex-Jugoslavia, deve valere sia per l’Etiopia che per l’Italia. Si valorizza l’opera d’arte. L’opera d’arte viene presa in considerazione dalla codificazione del XX secolo. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, si assiste ad una fase propizia per i beni artistici: l’opera d’arte e il monumento storico sono riconsiderati, inventariati, catalogati e registrati dalle apposite amministrazioni pubbliche. Fioriscono le Fondazioni che collezionano opere d’arte, reperti archeologici, si finanziano spedizioni (qualche volta gli stessi mecenati si cimentano in archeologi, vedi lo scopritore del Tesoro di Priamo), si abbelliscono i Musei e le piazze. Aumentano anche i falsari di antiquariato. Dopo gli Uffizi di Firenze del 1738, il British Museum del 1753, il Louvre del 1791 si assiste ad una apparizione ricca di musei nazionali, reali, ecclesiastici, privati e fondazioni sensibili all’ arte. Il concetto di un patrimonio culturale nazionale è difeso come salvaguardia dell’identità nazionale.

Bottino e saccheggio di guerra. La dottrina dominante considera che il “diritto internazionale attuale vieta assolutamente di fare del bottino in tempo di guerra” (Bluntschli, Le droit international codifiè, Paris, 1870). Per il giurista Calvo “si può considerare come virtualmente abrogato il diritto di fare del bottino …” (Calvo, Dictionnaire de droit international public et privè, Paris, 1885)..”il saccheggio, che era molto usato nel passato, costituisce ora una violazione del diritto delle genti”. Questa opinione non ha avuto un riconoscimento universale dalle Potenze. Il rifiuto della Gran Bretagna di sottoscrivere una convenzione sull’immunità della proprietà privata in tempo di guerra, proposta dagli Stati Uniti d’America nel 1823, dimostra quanto sia lungo il cammino. Il Codice Lieber. Il presidente Lincoln appoggia l’iniziativa di proporre un nuovo manuale delle leggi della guerra terrestre (1863) progetto Lieber, che fu votato a Oxford dall’Istituto di diritto internazionale nel 1880.

Gli sforzi diplomatici dell’Aia. All’Aia si riuniscono le diplomazie delle Potenze che ritengono sia venuto il momento di sottoscrivere importanti impegni che codifichino la condotta bellica. Nel 1899 e nel 1907 sono l’apogeo di questo processo. Nell’articolo 5 della Convenzione relativa al bombardamento dalle forze navali in tempo di guerra si prevede la protezione di “monumenti storici, dell’arte e della scienza”. (Vedi la protezione di Venezia durante la prima guerra mondiale). Nel 1923 sempre all’Aia, un progetto di regolamento relativo alla guerra aerea vietava di bombardare ogni città, difesa o no, e stabiliva che i beni culturali dovevano essere protetti (art. 25 e 26). Il progetto non è mai stato approvato (l’Italia mussoliniana ne era contraria). Questa protezione era però fragile perchè la dottrina della “necessità militare” continuava ad imperare. D’altro canto, gli individui responsabili d’attentati ai beni culturali erano passibili di sanzioni che potevano essere comminate dai loro paesi d’origine.

Riparazione e restituzione nei Trattati di Pace del 1919. Nella Conferenza della pace del 1919 fu introdotto il principio della restituzione dell’oggetto asportato durante la guerra o l’ occupazione bellica. Questa regola riposa sull’identità del luogo in cui l’oggetto era stabilito. In certi trattati di pace si è previsto l’obbligo di restituire i beni culturali. L’Italia pretende che le siano restituiti quei beni sottratti dall’Austria non solo durante il periodo precedente della Prima Guerra mondiale, ma anche fino al 1718: beni che appartenevano alle Repubbliche o ai Ducati. La diplomazia italiana arriva a un compromesso con una convenzione del 1920: l’ Austria soddisfaceva ad una parte considerevole delle rivendicazioni italiane, mentre l’Italia rinunciava al resto e doveva sostenerla contro gli altri reclamanti (Belgi, Cechi), “ciò per evitare nell’interesse superiore e generale della civilizzazione la dispersione delle collezioni storiche, artistiche e archeologiche dell’Austria che costituiscono nella loro totalità un organismo estetico e storico indivisibile e celebre”.

L’obbligo di restituire. Così l’idea che non ci sia prescrizione in materia di restituzione di opere d’arti, si evolve quasi facendo apparire come un obbligo “erga omnes” il non saccheggiare, rubare, confiscare, distruggere beni che non siano militari. Restituzione come sostituzione. Non si restituisce ma la si sostituisce: “la Germania è obbligata di fornire all’Università del Lovanio (Belgio) un numero uguale di manoscritti, libri e oggetti aventi lo stesso valore come quelli che appartenevano alla Biblioteca universitaria incendiata dai tedeschi” (Trattato di Versailles, 1919).

Gli anni 1930 e la debolezza della Società delle Nazioni. In Europa si sta sviluppando un’industria bellica a dismisura. Difficilmente si vogliono trovare regole comuni nel limitare gli orrori causati dalla guerra. La cultura di regime totalitario, accentratore, ossessionante, relega ad un piano secondario la tutela del patrimonio artistico storico. Se storia voleva dire “impero”, espansione, annessione, prevaricazione allora tutti sono d’accordo che la guerra è giusta e che le confische sono necessarie e legittime. La diffusione del “Kitsch” mette in subordine la tutela dei beni culturali, la loro salvaguardia, la loro valorizzazione. Si ritorna ad un barbarismo delle diplomazie. Nessuno ne vuol sapere di prevedere i disastri durante la guerra e di conseguenza le distruzioni delle vestigi storiche di un popolo, di una comunità. L’uomo degli anni 30 è forte, virtuoso, gladiatore, sicuro di sè. In Germania tutto funziona a perfezione. Tutto è classificato, ordinato, pianificato, preveduto. Non è più necessario di chiedere a Dio che ci aiuti per l’indomani. L’uomo può piegare la natura.

Il Patto Roerich del 1935. Nel 1935, gli Stati americani (USA, Messico, e altri paesi dell’ America centrale) firmano un patto tra di loro, il Patto Roerich, in cui si regola in maniera specifica la tutela dei monumenti storici in tempo di guerra. Progetto di convenzione del 1937 dell’UIM. Nel 1937 l’Ufficio internazionale dei musei di Parigi confida ad un comitato di esperti l’elaborazione di un progetto di convenzione sulla protezione dei monumenti e opere d’arte nel corso dei conflitti armati.

Il progetto di Convenzione del 1939. Nel 1939 il Belgio, la Spagna, gli Stati Uniti, la Grecia e i Paesi Bassi propongono in seno alla SdN a Ginevra un progetto di Convenzione internazionale relativa alla tutela dei monumenti e opere d’arte in tempo di guerra. Questi sforzi sono rimasti dattiloscritti su documenti e chiusi in cartelle col nastrino grigio, sistemati su scaffali di metallo grigio.

La Seconda Guerra mondiale. Arriva la Seconda Guerra mondiale e senza farlo apposta il codice della guerra è ancora sprovvisto di norme specifiche che tutelano i beni del patrimonio artistico. La legge italiana del 1939 prevedeva che si attuassero tutte quelle precauzioni per salvaguardare monumenti, chiese, musei, considerati appartenenti al patrimonio artistico e culturale della Nazione. La catalogazione degli Istituti italo-tedeschi. Mancava un vero Catalogo e nel 1939-40 c’era altro da pensare. I Tedeschi però scesero in Italia per studiare, cercare, inventariare le opere presenti in collezioni pubbliche e private. Gli Istituti italo-tedeschi avevano anche questo compito!

La dottrina della guerra totale. La dottrina della guerra totale, come rappresaglia, è ben sperimentata nella Seconda Guerra mondiale. I belligeranti, siano essi occupanti, o venuti per liberare, distruggono a piacere tutto quello che a parer loro diventa “necessità militare, military necessity”. Gli orrori della guerra sono sempre avvenuti. Non si aggiunge niente di nuovo. Sono invece riprovevoli le migliaia di volte che il belligerante se ne sia approfittato della situazione per saccheggiare, rubare, estirpare, confiscare, distruggere, annientare, rovinare, profanare, contrabbandare quei beni immobili e mobili che rappresentavano un carattere artistico, culturale, economico e non.

L’Italia ritorna il Paese delle scorribande dei barbari moderni. Dal cielo piovono tonnellate di esplosivo, in terra intanto ci pensano i guastatori a distruggere. Ci pensano i Tedeschi a proteggere il patrimonio artistico italiano. I Tedeschi si attivano per la costituzione della Kunstschutz, una commissione speciale nazional-socialista per la protezione della cultura italiana. Senza le leggi, i Tedeschi non si muovono! Tutto viene caricato sui camion, indi trasferito nei depositi provvisori, selezionato da esperti accademici mandati da Berlino, e spedito al Nord, forse vicino a Bolzano, forse nel Tirolo, forse in Germania. Non si sa. I Tedeschi si portano via tutto. Anzi se lo ritengono giusto distruggono, fanno saltar per aria, bruciano archivi, palazzi architettonici, ponti storici, musei. Dall’altra parte della barricata, la Quinta divisione degli Alleati con la sua carica e per paura di perdere vite umane rende le città un ammasso di macerie. Cadono fabbriche, ma anche chiese, monumenti e dimore storiche. Certe distruzioni rimangono ancora senza ragione (vedi Montecassino, le Chiese, centri storici come Pantelleria, ecc.). Molti soldati rubano, profanano, alimentano il contrabbando di opere d’arte.