Castelfranco Veneto: un intero quartiere combatte per il parco, ma l’area è destinata ad ospitare l’Istituto professionale statale per i servizi sociali. Via Verdi, già intasata di edifici scolastici, continua la guerra alla Giunta di Maria Gomierato.
(NOSTRO SERVIZIO). La contesa è finita anche in Consiglio tra accuse e contraccuse e sul tavolo del Presidente della Provincia Luca Zaia. E la storia va avanti. Riportiamo, a titolo di cronaca, stralci di alcuni articoli della stampa locale che ha dato ampio spazio all’aspetto politico e culturale della faccenda, mai conosciuto prima a Castelfranco Veneto, città ormai protesa verso un’urbanizzazione precoce, come il Sindaco ha orgogliosamente difeso il nuovo PRG, firmato dallo studio dell’arch. Posocco e soci. Francamente siamo costernati di vedere una maestra con venticinque anni di insegnante elementare poter assurgere ad un così alto grado di responsabilità amministrativa, Sindaco e assessore all’edilizia, quando l’avevamo più volte criticata incompetente e non all’altezza di capo dell’assessorato alla cultura (Giunta Marchetti), etichettata più volte dal prof. Franco Pivotti e dal dr.Franco Muschietti (ex assessore al Bilancio, il primo, ed ex Sindaco, il secondo) come “l’assessore dell’effimero”, se non altro responsabile per i danni subiti dalla Pala di Giorgione, essendosi la Gomierato sempre rifiutata ad ascoltare i nostri innumerevoli appelli di salvaguardia del prezioso dipinto cinquecentesco. E’ la prima volta da quando si è insediata che un gruppo spontaneo di liberi cittadini riesca coalizzare attorno a sé un largo consenso che contraddice e, scusate la parola “sputtana”, un programma di sviluppo edilizio scolastico senza tener conto dei reali interessi dei residenti, e non solo di essi. Il Sindaco è reazionaria, conservatrice, legata più ad interessi di bottega che a quelli della città. Lo si è visto in precedenti decisioni di carattere economico e culturale. Avere professionalità e lungimiranza per una Castelfranco che si sta dirigendo verso un’urbanizzazione precoce (“si pensa ad una Castelfranco da 50 mila abitanti…”), con la trasformazione di tante aree verdi in parcheggi, strade, immobili commerciali, residenziali e artigianali, non significa “intanto destiniamo quell’area ad una scuola provinciale” per non perdere i fondi della provincia, e poi si vedrà…”. Attitudine questa che persiste da decenni a Castelfranco Veneto, di giunta in giunta, vengono al pettine sempre le solite problematiche: grandi sprechi, dilatazione urbanistica, precarietà di servizi, o insufficienti, campanilismi frazionali, ed una sempre minore crescita culturale della città, con una perdita notevole d’immagine dal punto di vista di “città d’arte e di storia”. Se di storia qui si potrà in futuro parlare, sarà solo di politica economica urbanistica, prettamente commerciale e speculativa. Tutto il resto è aria fritta, nonostante molti cerchino di vantarsi di essere “castellani doc” perché la loro città ha dato i natali a Giorgione, Preti, Damini, Riccati e a tanti altri illustri personaggi ….di secoli addietro però! O perché ha un magnifico Duomo, un Teatro Accademico che un giorno richiederà un restauro conservativo, una villa Bolasco in degrado, un Conservatorio precario, un Palazzotto dello Sport vuoto, tanti campetti sportivi senza i servizi igienici, tante piccole strutture per bimbi fuori legge, una piscina a rischio,….dei canali sempre sporchi di rifiuti…
Il fatto che un gruppo di cittadini riesca in poco tempo a raccogliere duemila firme per destinare un’area a parco cittadino, dovrebbe far riflettere al Sindaco e alla sua Giunta (area Margherita con ammiccamenti al gruppo di FI) e non mettere sempre in conto debito i calcoli fatti a tavolino da impiegati comunali che molto probabilmente risiedono fuori Castelfranco o pensano con conoscenza e non con creatività. Si pensava che un Sindaco donna, al di là della sua graziosa immagine “mater magistra, sora maria”, fosse più di qualche altro all’altezza di recepire le istanze dei suoi cittadini, che, in fin dei conti reclamano “migliore qualità della vita”, “salvaguardia del patrimonio storico e ambientale”, principii questi che hanno fondamento costituzionale, e che dimostrano – guarda caso – maggiore lungimiranza dei tecnici comunali e della Giunta Gomierato, loro paravento stagionale. Perché non pensare ad una campus scolastico? Perché non copiare Francia e Germania? Perché non pensare che diecimila studenti delle superiore fra dieci e quindici anni avranno esigenze molto diverse da quelle che ancora Castelfranco offre nella sua totale miopia culturale e istituzionale? Non si pensa mai che la Scuola superiore è l’anticamera, la fucina di un progresso moderno (tengo a precisare questo binomio) di una società protesa verso un futuro migliore? Come è possibile concepire Scuole superiori di terza categoria che reggano alla concorrenza con altri Istituti, quando attualmente dimostrano di possedere strutture insufficienti, come ad esempio laboratori ristretti, palestre e campi sportivi insufficienti, misere biblioteche, auditorium insufficienti, mense inesistenti, …? Come è possibile incancrenirsi su un’area (di Via Verdi), già di per sé intasata da altre strutture scolastiche, da mega parcheggi, bloccata a sud dalla linea ferroviaria, e da una rete viaria con l’assenza di piste ciclabili, marciapiedi irregolari e stretti, e da un insediamento urbano voluto dalle precedenti giunte piuttosto intensivo? Con tutte le aree a disposizione, la “Grande e gloriosa” Castelfranco non riesce a trovarne una che possa diventare un esempio per la Marca, e, perché no per la Regione Veneto? Mi diceva un amico del Liceo Scientifico Giorgione che, per motivi di spazio, hanno ridotto il laboratorio di fisica di tre quarti per sistemarvi altre due aule. Lo storico Liceo Giorgione perde colpi…e non sarà mai all’altezza di affrontare gli sviluppi della Riforma Moratti, ma alla Giunta Gomierato non importa. Quello che sarà, sarà. (Segue)
Prima parte
OSSERVAZIONI ALLA VARIANTE GENERALE AL P.R.G. DI CASTELFRANCO VENETO
(Comunicato del Comitato per il parco pubblico, Giovedì 26 settembre 2002), l’Associazione Quartiere Verdi di Castelfranco Veneto, si è riunita per formulare le seguenti osservazioni al piano regolatore. Si esprime con forza la necessità che l’area verde compresa tra via Verdi, via Forche, Via Bellini sia interamente adibita a parco pubblico con area attrezzata per i bambini e panchine per i genitori ed anziani e ci si oppone alla prevista edificazione nella medesima area di un nuovo istituto scolastico. Per la qualità della vita di tutti i cittadini di Castelfranco Veneto, l’area in questione è l’ultima occasione della città per garantire uno spazio verde di dimensioni tali da potersi definire parco pubblico. Il ridimensionamento dell’area verde esistente al fine della costruzione di edifici a servizi pubblici farebbe venir meno il concetto stesso di parco. Si ritiene inoltre che sia inopportuno lo sviluppo di edifici pubblici in via Verdi, che negli ultimi anni è diventata a tutti gli effetti Centro città. In particolare, per un ottimale funzionamento dei servizi scolastici, ma soprattutto per la sicurezza degli stessi studenti e abitanti, deve essere progettato un piano di sviluppo a medio e lungo termine dell’edilizia scolastica cittadina, individuando un’area più consona ed appositamente destinata a tale scopo. A sostegno di tali argomentazioni si allegano nr…..firme di cittadini consegnate all’associazione da un movimento spontaneo sorto nei giorni scorsi a favore dell’intera destinazione dell’area a parco pubblico. Si rende noto che tale movimento continuerà la raccolta delle firme anche nelle prossime settimane. L’Associazione chiede che sia perseguito: “l’obiettivo di conservare alla città il suo valore aggiunto che sta nella sua vivibilità e nell’aver mantenuto, nel tempo, una dimensione a misura d’uomo. Una città che dovrà continuare a mettere al centro delle sue scelte la persona, a dare risposte e opportunità nel dialogo costante con tutto il territorio, rispettosa del disegno urbano che nel tempo si è conservato ma coraggiosa nelle scelte di riconversione e calibratura” (Il sindaco su “Castelfranco Informa”, luglio 2002). In allegato “Esposto al Sindaco di Castelfranco Veneto affinché l’area verde compresa tra via Verdi, via Forche, Via Bellini sia interamente adibita a parco pubblico con area attrezzata per i bambini e panchine per i genitori ed anziani e CONTRO la prevista edificazione nella medesima area di un nuovo istituto scolastico”, seguono centinaia di firme raccolte a Castelfranco Veneto.
Cronaca locale:
Maggioranza contestata in consiglio sulle modalità di acquisizione dei terreni dell’area industriale di Salvatronda. Contrattazioni troppo «private». Le opposizioni: «Perché fare regali a chi è già nell’abbondanza?»
(di Stefania Miotto, Castelfranco 30 ottobre 2002, La Tribuna). «Gli accordi di urbanistica contrattata sono passati sotto silenzio attraverso secretazione di carte e nomi. Senza i terreni acquisiti dal comune a basso prezzo non si fa nessuna politica di tipo sociale». Paolo Pellizzari affonda il colpo nel corso del consiglio comunale dell’altra sera. Uno scontro acceso che ha visto tutte le forze politiche della città confrontarsi con la lista di Vivere in materia di contrattazione urbanistica. Lo scontro nasce dal fatto che le operazioni di contrattazione non sono state portate avanti in modo equo dalla giunta comunale. «Il nuovo Prg di Castelfranco è stato fatto senza criteri di carattere generale e trasparenza» ha dichiarato l’onorevole Luciano Dussin (Lega). Inoltre, le trattative gestite direttamente da alcuni consiglieri, hanno creato dei dubbi. Le contrattazioni, che si dovevano chiudere entro il 30 settembre, sarebbero state gestite in modo difforme rispetto alle indicazioni del Consiglio comunale. «Quando avevamo chiesto al sindaco trasparenza – sostiene Pellizzari – non ci ha mai fornito alcun documento. Milani dichiarò che l’80 per cento delle zone di espansione erano state contrattate ma a conti fatti le zone C2 sono 500.000 metriquadri e quelle effettivamente contrattate solo 140.000. E il totale delle aree da contrattare è di 2.700.000 metriquadri». E le zone M2 non sarebbero state nemmeno toccate. «Trattare queste aree adesso, dopo l’adozione, – continua Pellizzari – significa incontrare molte difficoltà. Nessuno venderà più a 6.20 euro al metro quadro. Parliamo di un milione di metri cubi e quindi di miliardi di euro. Non abbiamo bisogno di fare regali ha chi è già nell’abbondanza». «Vedremo come operare e chi non ha accettato verrà espropriato» chiarisce Giovanni Bortolon, consigliere di Vivere. Secondo le opposizioni l’iniquità è enorme e c’è stato abuso di potere. Inoltre, i 18 privati che hanno firmato e ceduto il 65 per cento del loro terreno in modo che il rimanente 35 per cento divenisse edificabile, pensavano che tutti avrebbero firmato un’identica proposta. E invece quattro privati hanno ceduto solo il 50 per cento del loro terreno. Perché? si chiede Giovanni Squizzato (Lega). «Le aree di Salvatronda e Salvarosa non hanno nessun tipo di contratto – dice – e le zone miste non sono menzionate. E manca la programmazione per il verde e le scuole». Infine, l’area industriale si espande su una parte del parco urbano di che «tutte le forze politiche di Castelfranco – ribadisce Volpato, – esclusa la lista di Vivere – appoggiano la creazione del parco urbano. Ci sono quasi duemila persone che hanno cominciato a fare politica credibile e meritano tutto il nostro rispetto e la nostra approvazione. Queste scelte di Vivere dimostrano anche l’isolamento totale di questa maggioranza che si sente di poter far tutto ciò che vuole senza dover tener conto di nessuno».
Duemila castellani vogliono il parco. Adesioni da tutti i quartieri per il «polmone» di via Verdi. «Un istituto scolastico? Il posto è inadatto e non c’ è lo spazio».
(di Stefania Miotto, Castelfranco, 29 ottobre 2002, La Tribuna). Tre alberi, un simbolo. Li hanno voluti piantare nell’area di via Verdi il comitato spontaneo pro parco urbano. Le oltre 1800 firme raccolte dimostrano che i castellani, e non solo quelli di via Verdi, vogliono un luogo dove bambini e adulti possano incontrarsi, camminare, stare insieme magari anche ai loro cani. «E’ l’ultima occasione di avere un polmone verde in città». Infatti, come sostengono i promotori dell’iniziativa, è assurdo che i castellani debbano spostarsi a Riese Pio X per far giocare i loro bambini. «Ma com’è possibile che i nostri vicini abbiamo un parco in centro paese, grande, attrezzatissimo, spazioso – fa sapere Angelo Pigatto, portavoce del comitato spontaneo Pro parco – e Castelfranco, invece, abbia solo qualche fazzoletto di verde?». Una domanda a cui è facile dare una risposta, sempre che il rispetto della natura e dell’ambiente sia effettivamente sentito e non solo sbandierato. Per questo le firme di appoggio al comitato aumentano, perchè possano godere del verde pubblico anche chi non può spostarsi in macchina. «Desideriamo che i nostri amministratori – spiega Pigatto – siano sensibili a quasi duemila persone che hanno creduto a questa maggioranza e per questo oggi chiedono di essere ascoltati». «E’ assurdo – interviene un firmatario – progettare una scuola di interesse provinciale in un contesto in cui non c’è spazio per eventuali ampliamenti futuri. Possibile che in tutta la provincia, l’unico posto per l’istituto sia l’ultimo spazio utile rimasto per il parco urbano?». «E’ inutile – scrivono alcuni promotori – fare convegni sul disagio giovanile o sugli anziani per poi avvallare uno sviluppo urbano privo di un parco pubblico». «Noi come Lega – dichiara Giovanni Squizzato – appoggiamo l’iniziativa. Via Verdi ha già troppi problemi di viabilità, inoltre, progetto alla mano, l’istituto, occuperebbe quasi tutta l’area lasciando ai cittadini solo cinquemila mq». «Per noi – ricorda Muschietti, di Forza Italia – è importante appoggiare l’iniziativa perché Castelfranco è priva di un parco attrezzato. Siamo convinti che la città abbia bisogno di uno spazio adeguato e, inoltre, via Verdi è una zona poco adeguata per costruire un altro istituto superiore». Per ora l’amministrazione non ha dato una risposta ufficiale e i genitori, ironicamente dicono: «Intanto noi continuiamo a portare i nostri bambini al parco pubblico di Riese».
(di Lara Santi, Castelfranco, 1 novembre 2002, Il Gazzettino). Un intero quartiere del centro città è sul piede di guerra da ormai qualche mese. Oltre mille firme sono state raccolte in difesa di un appezzamento di terreno, situato fra via Verdi e via Forche, che ospita un vecchio campetto da calcio ma per buona parte è incolto.Resta pur sempre di proprietà pubblica e soprattutto rimane l’unica area non edificata in un quartiere densamente popolato alla perenne ricerca di un polmone verde. Ma le raccolte di firme, i banchetti in piazza, i picchetti e gli incontri ufficiali sembra non riescano a smuovere la posizione dell’amministrazione comunale che ha deciso di sacrificare la gran parte del terreno per la realizzazione della nuova sede dell’istituto professionale per i servizi sociali. Una posizione irremovibile, che il sindaco ha ribadito anche lunedì scorso in consiglio comunale. Nonostante fossero altri gli argomenti in discussione, il dibattito è stato portato sulla questione di via Verdi dal capogruppo della Lega, Giovanni Squizzato. Il leghista ha accusato la giunta di non tenere in alcun conto le 1.300 osservazioni al piano regolatore presentate dai cittadini:”Dite ai cittadini, voi fate pure le osservazioni ma tanto noi faremo comunque quello che abbiamo deciso. Come in via Verdi – ha accusato Squizzato – dove un intero quartiere si è mobilitato per una battaglia di civiltà in difesa di un’area verde”. Ma il sindaco ha replicato duramente: “La lotta contro una scuola non mi sembra una battaglia di civiltà, dissento fortemente da questa opinione come sindaco di una città – ha commentato Maria Gomierato – che negli anni ha investito con lungimiranza sulle scuole”. Ma il battibecco non è finito: “Forse questa amministrazione dimentica che gli studenti sono prima dei bambini e che un parco può essere l’unico sfogo dove far giocare i propri figli – ha ribattuto il consigliere di opposizione – i cittadini, poi, la vogliono la scuola, solo che non la vogliono lì”.Particolarmente amareggiati i rappresentati del comitato di via Verdi, presenti in sala, per l’uscita del sindaco: “Una strumentalizzazione della nostra protesta veramente di basso profilo, essere a favore di un parco – hanno commentato – non significa essere contro una nuova scuola”.
Seconda parte
VOGLIAMO IL PARCO PUBBLICO
(Comunicato del Comitato per il parco pubblico, Castelfranco Veneto, 4 novembre 2002). La presente nota al fine di chiarire le ragioni che hanno indotto un gruppo spontaneo di cittadini, appoggiato anche dall’associazione “Quartiere Verdi”, a sollevare il problema dall’assoluta mancanza di un’area destinata a parco pubblico con area attrezzata per bambini, genitori ed anziani abitanti nella città di Castelfranco Veneto. L’esigenza nasce dal fatto che la nostra città, che è sempre stata caratterizzata dalla presenza dì ampi spazi verdi, sta inesorabilmente perdendo tale caratteristica trasformandosi sempre più in un tipico modello di periferia metropolitana. E’ la qualità della vita dei cittadini di Castelfranco Veneto, presenti e futuri, che ha spinto tali persone ed adoperarsi affinché in città sia creato un parco pubblico. Se è vero che Castelfranco Veneto ha un valore aggiunto, che sta nella sua vivibilità e nell’aver mantenuto nel tempo una dimensione a misura d’uomo è altrettanto vero che un parco pubblico conserva questa preziosa prerogativa. Circa 2000 firme raccolte a sostegno della creazione di un parco pubblico (e non contro la scuola) provano quanto l’esigenza di una zona verde destinata ai giochi dei bambini, alle attività sportive ed alle passeggiate sia sentita da Castellani. Tutte queste persone chiedono che lo sviluppo urbano consideri la necessità umana di vivere in un ambiente sano. Chiedono la creazione di quel polmone verde che oggi ritrova in tutte le moderne città, ove l’esperienza ha dimostrato che lo sfrenato insediamento edilizio crea ed esaspera i conflitti sociali, da cui derivano emarginazione e micro criminalità. A sostegno di tale esigenza circa 2000 cittadini firmatari esigono la creazione da parte dell’attuale Amministrazione Pubblica, di un parco pubblico suggerendo a tal fine la zona verde compresa tra via Verdi, via Forche e via Bellini. Infatti, essa è l’ultima ed unica area disponibile in città ad avere le caratteristiche necessarie: è circa 31.000 mq. dimensioni minime sufficienti alla realizzazione di un parco pubblico; è dislocata nel centro residenziale di Castelfranco Veneto; è situata in una zona densamente costruita e destinata ad ulteriore sviluppo residenziale intensivo; è facilmente raggiungibile da ogni parte di Castelfranco Veneto; è condizione necessaria per la civile aggregazione dei cittadini. D’altro canto il parco pubblico non prelude la realizzazione di complessi scolastici e relative pertinenze, poiché esistono a Castelfranco Veneto altri spazi equivalenti peraltro già qualificati come “attrezzature per l’istruzione superiore” dalla variante al P.R.G. del 2002. Firmato: Il Comitato spontaneo “per il parco pubblico”.
Cronaca locale:
“Il nuovo Ipsss si farà in via Verdi». Il sindaco assicura: «Progetto in Consiglio. Entro trenta giorni sul tavolo di Zaia”
(Castelfranco, 16 novembre 2002, La Tribuna). La scuola si farà, parola di sindaco. Maria Gomierato risponde al presidente della provincia che chiedeva una posizione ufficiale all’amministrazione castellana. «Il consiglio comunale produrrà la delibera per costruire la scuola in via Verdi – dice – Tale decisione sarà a Treviso entro 30 giorni». Posizione chiara, quella del sindaco che spiega tramite lettera a Zaia i tempi per il nuovo Ipsss. In merito all’area scelta, Maria Gomierato scrive: «Questa ubicazione è la più funzionale a un istituto che ha un bacino di utenza provinciale». Dei 691 iscritti dell’Ipsss solo 38 risiedono nel comune. «L’istituto – continua il sindaco – sarà collegato alla stazione da una nuova viabilità stradale e ciclopedonale, già in fase avanzata di progettazione». La collocazione della struttura è stata concordata con i tecnici della Provincia e con l’assessore Fanton. Carte alla mano, il sindaco dichiara che l’ubicazione della scuola «vedrà non più di 3 mila metri quadrati di superficie coperta, con viabilità e parcheggi di pertinenza per altri 7 mila metri quadrati». «I restanti 20 mila – aggiunge – potranno essere a disposizione del quartiere, destinati a parco attrezzato». Secondo il sindaco, il quartiere non è contro la scuola perché l’associazione «con cui ho avuto più incontri e colloqui è favorevole alla scuola purché sia riservato il resto del verde al quartiere». Nella missiva spedita ieri al presidente della Provincia, c’è una parte che riguarda anche il comitato spontaneo. «Le 2 mila firme che vengono enfatizzate dai giornali e da un sedicente comitato, di cui ho incontrato due persone – va giù pesante il sindaco – sono state raccolte anche nei negozi, dai parrucchieri e con un banchetto in piazza Giorgione. Hanno firmato anche parenti e amici miei». «E chi non l’avrebbe fatto – si chiede – davanti alla richiesta di sottoscrizioni per un parco urbano? La richiesta è strumentale all’interesse di qualcuno che teme che la presenza di una scuola faccia perdere valore ai suoi investimenti. Questa, purtroppo, la realtà che viene mascherata dietro a una battaglia civile, per un parco». Maria Gomierato è certa: «La posa della prima pietra sarà salutata con favore anche da un quartiere che da sempre vive in armonia con tante scuole»
LA PROVINCIA.”Un sì ufficiale e procederemo”
(di Stefania Miotto, Castelfranco, 16 novembre 2002, La Tribuna). «La nostra preoccupazione in merito all’Ipsss – precisa Luca Zaia – è che ci sia la disponibilità dell’area». L’amministrazione comunale dice già sì. «Ora aspetto la delibera del Consiglio castellano» fa sapere il presidente. Nella missiva inviata al sindaco Gomierato lo scorso 11 novembre, il presidente scriveva: «Rileviamo che esiste una decisiva opposizione da parte di numerosi suoi concittadini circa la costruzione del nuovo Istituto scolastico in via Verdi». Per questo ha sollecitato, entro 30 giorni, una indicazione «resa concreta da documenti ufficiali» per permettere alla Provincia di procedere «evitando contenziosi senza fine che scontenterebbero tutti». «Da parte nostra non c’è alcun interesse ad andare contro i castellani bensì di realizzare un progetto condiviso».
IL COMITATO “Nessuno tocchi il parco”
(di Stefania Miotto, Castelfranco, 16 novembre 2002, La Tribuna). Le 2000 firme per il parco urbano in via Verdi sono state raccolte anche per risolvere grossi problemi di viabilità. «Il borgo Treviso – osservano i rappresentanti del comitato spontaneo – è letteralmente soffocato dal traffico e per migliorare la situazione non bastano più provvedimenti tampone». La scelta di non edificare sui 30 mila metri quadrati di via Verdi è condivisa dall’Associazione di quartiere. A sollevarsi contro la decisione dell’amministrazione per primo un «gruppo di padri di famiglia per contrastare uno sviluppo urbano non sostenibile, nell’interesse di giovani e anziani». «Ci dispiace – conclude il comitato – che il sindaco veda la strumentalizzazione dove c’è un tentativo di dar voce a chi non ha occasione di esprimersi».
Terza parte
I CITTADINI DI CASTELFRANCO VENETO RIBADISCONO DI VOLER UN PARCO PUBBLICO. LA GIUNTA GOMIERATO IMBARAZZATA SI APPELLA ALLA BUONA VOLONTA’ DEL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA.
Continua l’adesione spontanea di sottoscrittori al “Comitato per il parco pubblico” di via Verdi, già a quota duemilacinquecento, che rimette in discussione la miopia della Giunta Gomierato, che sembra infischiarsene di una migliore qualità della vita. La contraddizione è di voler accontentare un po’ tutti, brutta malattia “dorotea”, cara Sindaco. Ma a conti fatti, vengono privilegiati gli interessi speculativi di un’edilizia sempre più selvaggia. E fra dieci, quindici anni ci si dovrà confrontare con maggiori problemi di viabilità, funzionalità e ammodernamento di strutture scolastiche, buon vicinato con abitazioni e complessi condominiali, intasamento dovuto al traffico della metropolitana di superficie. Questo in pratica lo scenario che si sta evolvendo lungo la via Verdi, in cui sono state insediate quarant’anni fa le prime scuole superiori (Liceo Giorgione, Ragioneria, ecc.), frastagliando il quartiere con abitazioni, piccole, medie e condominiali, parcheggi e marciapiedi strettissimi e poco pratici. L’unica strada è talvolta gremita di studenti che escono dai cancelli come dei greggi inferociti, i residenti con auto a malapena devono attendere che rientri la calma, non parliamo di chi adopera lo scooter (la maggioranza degli studenti) che strombazza su e giù. E’ una gran confusione dovuta ad una urbanizzazione che continua ad esser sempre più caotica, “una nebulosa” come ha parafrasato l’arch. Luciani direttore del centro studi Benetton che monitora scientificamente il territorio della Marca. Se le campagne venete si sono trasformate in capannoni e rivenditori di automezzi, case piccole e grandi, brutte con cancelli da ville venete o con prati rialzati all’inglese, non riuscendo più a trovare una linea di demarcazione tra zona artigianale (talvolta assieme ai servizi più svariati) e zona residenziale (basta dare un’occhiata alla segnaletica, commerciale e/o istituzionale, che fa impazzire il cervello), così è anche per il quartiere Verdi. Inizialmente doveva esserci un insediamento scolastico (quasi elitario) che non prevaricasse la residenzialità. Aggiungendovi una nuova gigante struttura scolastica (come vorrebbe il Sindaco Gomierato) si provocheranno ulteriori problemi. La politica del “passetto alla volta e del rinvio” sono fattori negativi per governare una città come Castelfranco Veneto. Come mai si è pensato tanto alla grande per la costruzione di un mega ospedale da dodici piani, di cui la metà sono vuoti? Perché si è favorita in tutti i modi e sensi (persino con la corruzione, qualcuno ha pagato con la galera) l’ubicazione di un mega centro commerciale e di servizi con migliaia di metri cubi lastricati vuoti? Perché si sta svuotando il centro storico (dentro le mura medievali) e lo si sta rendendo sempre più asfissiante? Come mai Castelfranco Veneto ha degli spazi per piccini ed anziani con strutture metalliche fuori norma europea? Ed ultima domanda. Come mai il Sindaco Maria Gomierato ha acconsentito di far installare delle panchine attorno alle mura sprovviste di schienale e piuttosto scomode per le persone più fragili? Si pensi alla grande anche per il futuro dell’istruzione scolastica superiore: un cittadella che raggruppi tutte le scuole, con servizi comuni palestre, campi, laboratori, biblioteche, anfiteatro e mensa. Non invidiamo i campus americani e quelli tedeschi. L’Europa si costruisce così anche a Castelfranco Veneto, cara Sindaco Gomierato e carissimo arch. Posocco. Ci saremmo aspettati qualcosa di più da Lei, quale “illuminare e grande appassionato del Paesaggio veneto”, perché vede nel suo tracciare il nuovo PRG per una Castelfranco da cinquantamila abitanti si è vergognosamente dimenticato di suggerire al suo committente, di cui dubitiamo una reale capacità di sintesi, che una vera città si costruisce con idee chiare di programmazione anche sul fronte scolastico. La scuola deve andare al pari passo con lo sviluppo industriale e commerciale, altrimenti si sarà perennemente periferia. Forse Lei sta inconsapevolmente riproponendo una “Mestre-Marghera” per Castelfranco Veneto.Lecita e “politically correct, secondo la nostra modesta opinione, la richiesta del “Comitato spontaneo pro parco” e la pretesa di avere un verde che è pagato dalle tasse e protetto dalla legge 61.
Rendiamo pubblico il Comunicato stampa inviatoci dal Comitato spontaneo per la salvaguardia dell’ambiente.
IL COMITATO SPONTANEO PER IL PARCO PUBBLICO
(Comunicato del Comitato per il parco pubblico, Castelfranco Veneto 23.11.2002). Il comitato spontaneo per il parco pubblico di Castelfranco Veneto non può che condividere totalmente quanto espresso dal nostro concittadino Giorgio Lago infatti anche la nostra iniziativa, per chi non fosse stato ancora correttamente informato, mira a conservare intatto un pezzo importante di città: le sue aree adibite a verde. Strano caso vuole però che assieme alla violenza già perpetrata a danno dei manufatti storici si stia estendendo l’opera anche sul territorio attorno e dentro la città: dove rimane uno spazio libero lì chissà perché si vede esclusivamente la possibilità di costruire condomini , palazzine , zone industriali e quant’altro possa generare facile speculazione edilizia. Strano caso che chi ha professato queste iniziative anche nel corso degli scorsi PRG si sia sempre autonominato difensore della città. Ma difensore di che cosa?’ E degli interessi di chi ? Non certo dei cittadini castellani che preferirebbero fosse mantenuta intatta la vivibilità esistente anche a scapito delle mire faraoniche di crescita urbanistica. Noi siamo dei semplici cittadini che vogliono che sia mantenuta quell’ultima area verde del centro città posta alla fine di Via Verdi affinché, come decanta anche il Sindaco, far passeggiare mamme con la carrozzina, disabili, bambini ed anziani non resti un sogno. Sembra impossibile ma a tutti è sfuggito che Castelfranco non ha un parco pubblico urbano dove poter far correre i bambini, dove poter passeggiare tra piante e piccoli animali che ormai i nostri figli nemmeno conoscono. Eppure le amministrazioni dei Comuni limitrofi Montebelluna, Riese Pio X°, Bassano del Grappa, Cittadella il Parco pubblico per i propri cittadini l’hanno già creato. Ma evidentemente queste cose sfuggono a chi non ha il problema di far giocare il proprio figlio nel terrazzino d’appartamento e preferisce decantare la realizzazione di una scuola che facilmente potrebbe essere spostata in zona più idonea, ad esempio nell’area adiacente all’attuale ITIS nei pressi della zona dell’ipermercato dove potrebbe avere altre attrezzature (mense, palestre ,bar e parcheggi) che agevolerebbero proprio gli studenti. Tutte le scuole dovrebbero essere spostate dal centro città e decentrate con la logica del “campus attrezzato universitario” e di questo se ne parla da anni, come ammette anche il Sindaco, ma ahimè anche questo argomento è sfuggito al presente PRG. Affinché Castelfranco non perda ciò che “altri fecero bellissima nei secoli” e poiché temiamo per il benessere della nostra Castelfranco chiediamo a tutti i cittadini che ancora non l’abbiano fatto di sostenere con la loro firma sabato e domenica p.v. in Piazza Giorgione. La richiesta di destinazione definitiva dell’area a parco pubblico. E con questo accogliamo anche la richiesta di Vittorio Sgarbi a ribellarci a tutto ciò che può sfregiare il patrimonio della NOSTRA città.
IL COMITATO SPONTANEO PER IL PARCO PUBBLICO che ha raccolto le 2500 firme dei cittadini. ASSOCIAZIONE QUARTIEREVERDI Via G. Verdi 150; Tel. 0423-720906 31033 Castelfranco Veneto Cod. Fisc.e P.IVA 02475740268 . Per informazioni: [email protected](avv. MARTINA CESCUTTI); [email protected] (Arch. RENATO PEROZZO) e tanti altri residenti del quartiere Verdi.
PARCO “Verde pubblico? Solo sulla statale”
(di Stefania Miotto, Castelfranco Veneto, 27 novembre 2002, La Tribuna). “La previsione di occupazione dell’Ipsss nell’area di via Verdi è di 10 mila metri quadrati”. Questo il dato ufficiale dichiarato lunedì scorso dal consigliere di Vivere, Pietro Squizzato, presidente della commissione istruzione. Dei restanti 20 mila metri quadrati, il sindaco Maria Gomierato ha sottolineato che “saranno a disposizione del consiglio comunale che si riserva l’uso secondo le esigenze che emergeranno”. “Per scelte politiche – ha tuonato il consigliere di opposizione Paolo Pellizzari – si è pignorato l’ultimo fazzoletto di verde. Via via si costruiscono servizi e le aree pubbliche spariscono. Orami il verde è rimasto solo lungo la statale 53 e dentro le rototatorie”. Lecita e sacrosanta, secondo i democratici, la richiesta del comitato spontaneo pro parco e la pretesa di avere un verde che è pagato dalle tasse e protetto dalla legge 61.
ALLEGATI: RECENSIONI E NOTIZIE VARIE
Franco Archibugi, “La città ecologica. Urbanistica e sostenibilità”, Bollati Boringhieri, 2002l’organizzazione dell’incontro pubblico o tavola rotonda (logistica, segreteria, pr), chiarendo fin dall’inizio strategie e ruoli. Per Archibugi, il suo approccio è imperniato sugli “ecosistemi urbani” come modo per realizzare la congiunzione tra pianificazione urbanistica ed ecologica, dato che non vi è ancora una piena consapevolezza del rapporto tra degradazione dell’ambiente e inadeguata pianificazione urbana e territoriale. E’ difficile immaginarsi una società che si evolvi sia sul piano numerico che su quello tecnologico come possa rinunciare agli incontri fisici, e sociali, che solo gli spazi pubblici della città permettono. Se ciò fosse possibile, la domanda di spazi pubblici sarebbe già diminuita nelle nostre città, invece di crescere in tutte le direzioni, come avviene creando appunto il vero problema della degradazione dell’ambiente urbano. E l’effetto città avrebbe ridotto, non accresciuto, i suoi requisiti. Il giusto modo di chiedere più spazio pubblico per il miglioramento del nostro ambiente urbano passa anche attraverso queste vostre forme di lotta pacifica, senza le quali non ci sarebbero interessi trasversali – politici, economici, culturali – che canalizzati possono interrompere una strisciante dittatura democristiana affaristica. Il principio della qualità della vita non va confuso con il rischio di un modello démodé di vita urbana, cioè credere ad un revival di un vecchio stile di vita contro la modernizzazione della nuova vita urbana. Una città moderna vive il “futuro presente” non viceversa. Ed è l’errore che sta compiendo l’attuale giunta capeggiata dalla Gomierato che odio perché ha rovinato la Pala e non ha risposte concrete per un rilancio del centro storico e dell’immagine di Castelfranco come città d’arte. E’ un vivacchiare. Che cosa ci regala questa modernizzazione forsennata attraverso il lento adattamento delle nostre vecchie strade e piazze e dei nostri vecchi spazi pubblici, pensati un tempo per altri usi e altri utenti all’odierno affollamento di persone e di automobili? Se non un incontrollato intasamento degli spazi pubblici, la loro deformazione rispetto agli usi cui sarebbero destinati, un grave inquinamento da gas Co2, da rumore, da percezione visiva, da onde magnetiche e una generalizzata garagizzazione?
Olschki stampa il volume che racchiude le lezioni dell’VIII e IX corso del Gruppo giardino storico. Il giardino come memoria. Dall’orto e dal brolo fino al paesaggio formalizzato. Un filo rosso lega i saggi del libro: la natura addomesticata dall’uomo trasmette il significato dei luoghi perché conserva la cultura materiale e la memoria collettiva del territorio di Lionello Puppi (La Tribuna 30 ottobre 2002). In uno dei suoi racconti più incantevoli e meno noti – Terre di Arnheim -, Edgar Allan Poe narra di un giovane, idealista e sognatore, Ellison, che vagheggiò di costruire, e costruì (ne aveva i mezzi, oltre alla volontà e al talento), un giardino. «Sosteneva, infatti, che il campo più ricco, più autentico, più naturale, per non dire il più vistoso, dell’espressione artistica era rimasto inesplicabilmente ignorato. Nessuno aveva mai definito il giardiniere di paesaggio un poeta, eppure egli – Ellison – riteneva che la creazione di un giardino-paesaggio aveva da offrire alla specifica Musa delle magnifiche opportunità». Oggi sappiamo bene – ed è quasi ozioso rammentare, e frattanto in Italia, le pagine memorabili al riguardo di Rosario Assunto e di Giulio Carlo Argan – che il giardino e il paesaggio formalizzato appartengono al dominio dell’estetica e che costituiscono, insomma, un aspetto peculiare della cultura visiva, laddove la natura è la materia in cui si impalca, nella sua complessità, la creazione artistica. Che, dunque, ci si manifesta in una forma che coniuga alla complessità del suo manifestarsi, una condizione volubile, fragile, effimera: ed è questo il suo enigmatico incanto cui Wells, in un racconto mirabile, conferisce i contorni di un sogno irrecuperabile al di là di «una porta nel muro» ed Andrea Zanzotto, nella stupenda, breve poesia Dirti «natura», esclama che (cito a memoria) «potè aver nome e nomi che fu folla di nomi in un sol nome che non era nome»… Pure, se tutto ciò può parere ovvio – e lo è – l’ingresso, per dir così istituzionale, del giardino nella storia delle arti visive e nella scienza della progettazione, è di data recente; se gli studi sistematici ad esso dedicati, manifestandosi in convegni di studio, dibattiti, esposizioni, saggi, monografie, hanno assunto carattere torrenziale e quasi intemperante, ciò appartiene a questi ultimi anni. Alla luce di codesta constatazione, allora, la costituzione presso il Dipartimento di Biologia e l’Orto Botanico dell’Università di Padova nel 1990 del Gruppo Giardino Storico è da ritenere evento, se non proprio pionieristico, certamente precoce e, in ogni caso, innovativo perché, non solo componeva in una struttura unitaria le competenze dello storico dell’arte e del botanico, ma per un’esplicita finalità didattica rivolta al «grande pubblico» e, anzitutto, agli insegnanti delle scuole medie e superiori. Né basta, ché è stata premura del Gruppo, coordinato dalla competenza e dall’entusiasmo di Giuliana Baldan Zenoni-Politeo e di Antonella Pietrogrande, provvedere alla pubblicazione delle lezioni, tenute nell’ambito dei suoi programmi didattici da specialisti di fama internazionale sui temi della botanica, del teatro, della letteratura, dell’architettura e delle arti figurative collegati al giardino e al paesaggio: in quanto «uniti da un rapporto biunivoco, perché l’uno si riflette nell’altro». Disponiamo così di una piccola, ma sostanziosa e preziosa biblioteca specializzata la quale costituisce un autentico punto di riferimento – una referenza nel senso più pregnante dell’espressione – per gli studi specifici, la quale comprende cinque densi volumi: un primo Quaderno del giardino storico, e, quindi, via via, Intorno al giardino, Attraverso i giardini, Il giardino dei sentimenti, Paesaggio e paesaggi veneti, cui si aggiunge adesso la raccolta delle lezioni tenute nel 1998 e nel 1999 per l’VIII e per il IX Corso, sotto il titolo suggestivo, e che tutta mantiene la promessa che annuncia, Il giardino e la memoria del mondo, perché il giardino ed il paesaggio – questo è il filo rosso che lega i saggi presenti nel libro – «trasmettono il significato dei luoghi» in quanto «conservano la cultura materiale e la memoria collettiva di un territorio». Quattro sezioni dividono l’opera – la quale (convien sottolinearlo) trasferisce, per dir così, i contributi presentati ai Corsi del Gruppo Giardino Storico nella prestigiosa Collana «Giardini e Paesaggi» diretta da Lucia Tongiorgi Tomasi e Luigi Zangheri per l’Editore Leo S. Olschki di Firenze -: Il paesaggio degli Dei, La natura e la sua rappresentazione, Arte e memoria, Microcosmi, temi solo in apparenza vicendevolmente autonomi e slegati, ché, di fatto, rappresentano i momenti centrali delle problematiche del giardino e del paesaggio. Riferire dei saggi, uno per uno, sarebbe allettante ma impegnerebbe ben altro spazio di quello che abbiamo a disposizione e costituirebbe, alla fine, un esercizio inutile, pleonastico; e preferiamo, allora, invitando alla lettura, non tanto gli addetti – che dell’esortazione non abbisognano – quanto chi del fascinoso universo dei giardini e della ricchezza stimolante dei suoi contenuti ancora non abbia preso coscienza, additare solo alcuni degli spunti sviluppati nel volume. Non già, e sia chiaro, a capo di una selezione di qualità scientifiche ed espositive che in effetti omologano l’opera ad alto e non consueto livello, ma in considerazione della loro novità nel campo degli studi rivolti al tema. Alludo, in primo luogo, alle pagine dedicate al «giardino povero», «legato, come ad una sua appendice, alla casa d’abitazione delle classi subalterne, alla casa popolare», dunque a quella «cultura materiale» che è espressione dei «muti della storia», ma non per questo – anzi – povera di significati; e, poi, a quelle insistenti sulla questione, in qualche misura collegata, del «brolo» inteso come «un ben determinato spazio (…) che recingeva un insediamento all’interno del quale una famiglia, e quelle dei suoi lavoratori, conducevano una vita indipendente dal mondo esterno, ricavando da quella terra ogni cosa indispensabile alla sopravvivenza e ai piaceri della vita quotidiana». Un «ritorno alla campagna», allora, alla «memoria e microcosmi campestri» per additarne i valori rappresentati nella tensione sacrosanta di condurre un simile patrimonio all’attenzione e, alla riflessione della Storia e nella prospettiva di una salvaguardia possibile, e di una lezione per costruire il futuro. Ancora. Sorprese da raccogliere con profitto, il lettore – e, debbo dire, anche già esperto e scaltrito – troverà nella puntigliosa rivelazione del «materiale costruttivo» dei giardini e del paesaggio europei pervenuto, per tempo e con inaspettata incidenza, dal Continente americano e nell’esposizione del dibattito intorno ai rapporti tra l’arte contemporanea nelle sue espressioni più radicali e la progettazione del giardino. Mi fermo qua, non senza però aver segnalato le pagine dedicate agli antichi giardini e paesaggi e quelle sul significato imprescindibile della statuaria nella composizione del giardino, troppo spesso e sciaguratamente strappata a quel contesto in cui vive e che fa vivere, e decontestualizzata e spaesata e frammentata in dimensioni estranee e inerti. E con questo, alfine: che son attività come quella del Gruppo Giardino Storico e libri come quello che si è qui sommariamente presentato, che possono davvero contribuire in maniera concreta ed efficace a suscitare un «vero pensiero ecologico».
Ca’ Tron, università per la gola “Faremo laboratori di alta cucina” (mercoledì 10 aprile 2002, convegno di San Terenzio).
A Ca’ Tron, corsi e laboratori di alta cucina. L’idea è di Dino De Poli presidente della Fondazione Cassamarca proprietaria dell’estesa tenuta di Roncade. Là gli spazi non mancano e contestualmente alle coltivazioni biologiche si potrà perfezionare la ricerca della cucina in corsi e master privati. «Sto pensando a una iniziativa a Ca’ Tron – ha annunciato ieri durante il convegno De Poli- lì c’è la possibilità di creare i laboratori e gli alloggi per i frequentanti dei corsi di perfezionamento. La tutela della cucina veneta ha bisogno di cure non ripetitive ma di vera ricerca». De Poli non si pronuncia sull’antico progetto di creare la prima Università della cucina a villa Bolasco. Sembra però che la Fondazione non abbia raggiunto un accordo soddisfacente con l’Università di Padova, proprietaria dell’immobile. «Il progetto è sospeso – spiega Bruno Brunello, presidente del consorzio degli Istituti Alberghieri del Veneto – l’Università della cucina resta tutta da ripensare. Sono più probabili i corsi privati a Ca’Tron, rivolti a professionisti del settore, insegnanti, diplomati o a persone interessate».
Giardini sporchi, giochi vietati. I genitori si lamentano dell’immondizia: bimbi a casa
(di Stefania Miotto, Castelfranco, 8 novembre 2002, LaTribuna). Portare i bambini a giocare nei giardini lungo le Fossa? I genitori storcono il naso: il rischio di imbattersi in qualche «rifiutino» di un Fido di passaggio è altissimo. A lamentarsi, castellani che si trovano a fare i conti con gli escrementi di animali lasciati liberi di scorazzare fra le aiuole dei giardini di fronte a piazza Giorgione e corso XXIX Aprile. «Non abbiamo nulla contro i cani, anzi – spiega di volata un genitore -, ma i proprietari, come si usa fra persone civili, dovrebbero munirsi di paletta e sacchetto e pulire, quando a sporcare sono i loro animali». Il cartello posto ai cancelli d’entrata dei giardini sono chiari: sì ai cani però con guinzaglio e con raccomandazione di lasciare in ordine i luoghi pubblici. Invece, a stare mezza giornata fra vialetti e aiuole, si nota che quasi nessuno rispetta le regole e, soprattutto, raramente chi ha cani ripulisce il suolo. Solo un anziano signore si avvicina, estrae il portafoglio dalla tasca e tira fuori un guanto di nailon. «Sono quelli che si usano quando si fa la spesa di frutta e verdura – confida -. Invece di cestinarli, li conservo così, quando esco con il mio cane, posso raccogliere i suoi bisogni. Non è una gran fatica, ed è giusto così». Rarità a parte, i luoghi pubblici di Castelfranco sono continuamente scambiati per toilette per cani e, a farne le spese, i bambini che spesso hanno solo i giardini pubblici come luogo verde per giocare o farsi una bella corsetta fra l’erba. Capita anche che qualche ignaro passante che ha voglia di farsi quattro passi vicino alle mura del castello, malauguratamente calpesti i maleodoranti rifiuti organici. Niente di grave, ma dà fastidio soprattutto quando si è fuori casa e non si hanno i mezzi per provvedere alla pulizia. Ovviamente i cani non ne hanno colpa, ma i proprietari sì. Che hanno tutto il diritto di lamentarsi se la città è poco ospitale e se per poter portare a spasso il cane non resta che andare in campagna: ma ha anche il dovere di organizzarsi e pulire dove il cane sporca. E restando in tema di rispetto del suolo pubblico, facendo una passeggiata lungo il giro mura rimesso a nuovo da poco, si notano, ogni trenta metri, dei nuovissimi cestini dell’immondizia, tutti puliti, in ordine e con tanto di sacchetto giallo. A soffermarsi un attimo, si nota che i cestini sono quasi vuoti mentre lo spazio fra l’uno e l’altro è un ricettacolo di cartacce, mozziconi di sigaretta, scontrini buttati a terra, scatole di sigaretta. «Anche gli automobilisti non rispettano l’ambiente – riflette la segretaria della Pro Loco, con vista proprio sul giro mura – Li vedi abbassare il finestrino e gettare fuori non solo i resti di sigaretta ma anche fazzoletti di carta». Un atteggiamento, a quanto pare, comune a tanti cittadini o gente che frequenta Castelfranco. Addirittura, in certe piazzette vicino alle mura, ci sono persone che di notte «segnano» il territorio. Come gli animali.
La Marca satura di case e auto. In 20 anni più trasformazioni che nei due millenni precedenti. EMERGENZA AMBIENTE
(di Nicola Pellicani, Treviso,La Tribuna, 12 novembre 2002). Ogni giorno 10 milioni di spostamenti in auto nel Veneto, due milioni solo nella Marca. La Fondazione Benetton ha fotografato la «nebulosa» veneta. Nell’arco di due decenni (1961-1981) hanno cambiato destinazione d’uso più aree agricole di quanto non fosse accaduto nei due millenni precedenti. In provincia di Treviso (totale 2.477 Kmq) da 2.242 Kmq (90 per cento) a 1.480 Kmq (59 per cento). In vent’anni il Veneto ha perso 2.300 kmq di campagna.
Domenico Luciani, la chiama «nebulosa». Qualcosa di più di «policentrismo», di «città diffusa». Il Veneto e la Marca che emergono dall’immagine scattata dalla Fondazione Benetton appare come una nuvoletta luminosa, un addensamento interstellare. Formato da città, paesi, paesetti, case sparse, fabbriche e strade dove corrono i veicoli. Tanti. Tantissimi. Ogni giorno nel Veneto si registrano 10 milioni di spostamenti con autoveicoli, quasi 2 milioni nella Marca. «Nebulosa» è una metafora suggestiva, ricavata da un fiume di dati e di cifre elaborate in mesi di paziente lavoro. E’ il primo risultato della ricerca, curata da Federico Della Puppa, sul territorio veneto – mai presentata prima d’ora – destinata a diventare un osservatorio permanente sul Veneto. Uno zoom puntato in particolare su quell’esagono compreso tra Mestre, Treviso, Montebelluna, Vicenza, Bassano e Padova che costituisce un territorio unico, senza soluzione di continuità. Una «nebulosa», appunto, dove non c’è più spazio per la topologia, resta solo un unico immenso formicaio in continuo movimento: «Insediamento e mobilità nel Nordest, un territorio al limite». Il titolo dello studio riassume bene il tema della ricerca messo a punto dalla Fondazione Benetton, presieduta da Luciani. Traducendo in cifre e tabelle la composizione di un’area che ha mutato pelle, che si è trasformata con una velocità impressionante finendo per cogliere impreparati gli stessi protagonisti della «rivoluzione copernicana». «La novità – Luciani – non è tanto nella polverizzazione degli insediamenti, quanto nell’accelerazione che ha subìto il fenomeno a partire dagli anni Sessanta, fino a raggiungere la soglia di oggi che rischia di scoppiare. Fino alla metà del ventesimo secolo la crescita avveniva seguendo un certo ritmo che trovava nel paesaggio agrario il principio ordinatore. Tra città e città, tra villaggio e villaggio il tessuto connettivo era costituito dall’agricoltura». Poi l’equilibrio si è rotto. In vent’anni il «policentrismo» è diventato «nebulosa». Il rapporto della Fondazione Benetton mostra come nell’arco di due decenni (1961-1981) abbiano cambiato destinazione d’uso più aree agricole di quanto non fosse accaduto nella storia dei due millenni precedenti. Nella provincia di Treviso (totale 2.477 Kmq) da 2.242 Kmq (90 per cento) a 1.480 Kmq (59 per cento); nella provincia di Padova, che ha una superficie totale di 2.142 Kmq la superficie agricola è scesa da 1.878 Kmq (88 per cento della superficie totale) a 1.419 Kmq (66 per cento); nella provincia di Vicenza (totale 2.722 Kmq) da 2.423 Kmq (89 per cento) a 1.331 Kmq (49 per cento); nell’arco di una generazione in tre province venete sono stati sottratti al paesaggio agrario più di 2.300 Kmq (una intera provincia). Il fenomeno appare ancora più concentrato e impressionante se togliamo dal computo le aree non disponibili (montagna, bonifica, zone protette) e le aree già occupate (insediamenti preesistenti, corsi d’acqua, infrastrutture, cave). In quello stesso ventennio risulta costruita la metà dell’intero patrimonio immobiliare esistente oggi in quest’area. E ciò avviene in un quadro di aumento assai relativo del numero degli abitanti. Il policentrismo si fa dispersione. Dei 4,5 milioni di persone che vivono oggi nei 580 Comuni del Veneto, più di 2,5 milioni vivono in 533 comuni con meno di 15 mila abitanti. Solo 14 comuni superano i 30 mila abitanti e, di questi, solo quattro superano i 100 mila abitanti. Non esiste un capoluogo regionale riconosciuto. «Il processo di dispersione insediativa – insiste Luciani – è stato accompagnato dalla dilatazione di una mobilità individuale le cui dimensioni non possono essere spiegate da una mera necessità di pendolarismo, ma da una serie di comportamenti, di domande, di affermazioni di diritti, di modificazioni di status. Nasce una vera e propria antropologia dell’automobile». Conti alla mano i veicoli a motore su gomma, che a metà del XX secolo erano poche decine per mille abitanti, diventano (Provincia di Treviso) 290 per mille abitanti nel 1977, e sono oggi oltre 600 per mille abitanti (compresi i minori e tutti gli altri «non idonei alla guida»).
INAUGURAZIONE BMW-OPEL Il sindaco taglia il nastro.
(Castelfranco, La Tribuna, 8 novembre 2002). Nuovi showroom Bmw e Opel a Castelfranco. Oggi e domani le concessionarie Gielle di Marazzato Spa e di Ma.Gi.Car. Srl di Giuseppe Marazzato inaugurano le nuove sedi ristrutturate e rinnovate. Alla cerimonia d’inaugurazione interverranno personalità politiche locali, don Lino Cusinato della parrocchia del Duomo, funzionari e dirigenti della Bmw e della Opel. L’inaugurazione si articola in due giornate: la prima dell’8 novembre, con taglio del nastro (ore 18) da parte del sindaco, la seconda giornata aperta a tutto il pubblico.
P.S. Quando la società si riduce a queste formule di “protezione divina”, come se una “benedizione con l’acqua santissima del parroco del Duomo procurasse più prestigio o più garanzia negli affari, è chiaro che la società stessa è ammalata e truffaldina. Richiamare l’attenzione di un mondo legato all’ormai invadente e sproporzionato sviluppo tecnologico (un bene di consumo divenuto più importante della cultura e della salute pubblica) con la lettura di un salmo per l’invocazione della “protezione e cura divina”, ahimè ci sembra andare a braccetto con il diavolo Lucifero. Inoltre se il primo cittadino di Castelfranco che tanto si richiama ai valori della vita, della famiglia, del progresso, del lavoro e di una “città d’arte e di storia” ha anche il tempo di tagliare i nastri di “ampliamenti e rinnovo dei locali di una concessionaria di autoveicoli tedesca”, ahimè siamo di fronte ad una autorità che ha perso totalmente la bussola della macchina amministrativa. La Sindaco Maria Gomierato farebbe bene perder più tempo a controllore che i suoi dirigenti lavorino seriamente e siano ai loro uffici, che i cantieri aperti funzionino ed eseguino i lavori appaltati, che i suoi consulenti siano onesti. L’impreparazione talvolta dovuta ad un curriculum scolastico e professionale, frettolosamente rattoppato con la scelta di fare carriera politica in loco, per evidenti interessi lobbystici di taluni ambienti storici di Castelfranco, porta alla situazione attuale di degrado e di confusione.
PARCO BOLASCO. L’Istituto agrario curerà piante e fiori.
(di Stefania Miotto, Castelfranco, La Tribuna, 12 novembre 2002). Il parco di Villa Bolasco sarà gestito dall’Istituto professionale per l’agricoltura Cavour. La convenzione, con il beneplacito dell’università patavina, è stata siglata il 2 novembre fra l’amministrazione comunale e il preside della scuola, Adriano Panizzon. Rientra nel progetto comunale «Adottiamo il verde», ideato per educare i cittadini alla salvaguardia ambientale. «L’idea – spiega l’assessore ai lavori pubblici, Bruno Scapin – è di avvicinare associazioni di quartiere e, nel caso dell’Istituto Cavour, gli studenti alla gestione del verde pubblico». In tale contesto si è inserita l’ipotesi di lavoro sul parco di Villa Bolasco che necessita di un progetto complessivo. Dopo alcune fasi di manutenzione, gestite in prima persona dal Comune, l’amministrazione ha pensato all’istituto agrario. «L’Ipsa avrà il compito di classificare le piante – spiega Scapin – di prevenire parassiti e malattie e di provvedere alla manutenzione del sottobosco». La scuola si impegnerà a compilare schede illustrate sulle piante cresciute nel parco. L’anno scorso l’amministrazione ha speso 25 mila euro per la manutenzione straordinaria del giardino ottocentesco. Con la nuova convenzione migliorerà il parco e insieme la preparazione degli studenti in materia di verde storico. In cantiere anche il discorso del laghetto del Bolasco che, nelle ultime estati, a causa della siccità, si è trasformato in uno stagno. «Abbiamo chiesto al consorzio Bretella – fa sapere l’assessore – di inserirlo tra le priorità anche perché l’acqua è fondamentale per alcune piante e per gli animaletti che abitano nel parco». Nel 2001 per l’irrigazione di emergenza, il Comune ha dovuto riattivare un vecchio pozzo dimesso.
Villa Bolasco, il Comune paga il conto. L’ente salderà il debito con la Pellizzer. Ottantamila euro per i lavori eseguiti
(di Stefania Miotto, La Tribuna, 29 novembre 2002). Accordo raggiunto tra la ditta Pellizzer di Fonte e l’amministrazione comunale in merito a un contenzioso apertosi anni fa su un debito legato alla ristrutturazione del tetto di Villa Bolasco. La vicenda si chiuderà questa sera in consiglio comunale con la previsione a bilancio di una posta di 80 mila euro per rifondere la ditta. Un anno e mezzo di trattative e alla fine amministrazione e Pellizzer hanno raggiunto un accordo. Il Comune riconosce il debito con la ditta di Fonte e lo mette a bilancio. La somma ammonta a 85.215 euro. La Pellizzer non ha chiesto gli interessi. La vicenda che ha dato origine al contenzioso risale al 1989, quando l’amministrazione di allora ha deliberato il restauro conservativo e il consolidamento del tetto di Villa Bolasco. Dopo vari passaggi, si era calcolato che la spesa per rimettere a nuovo la Villa ammontava a 930.000.000 delle vecchie lire. La ditta Pellizzer vinse l’appalto con un ribasso del 15,21 per cento sull’importo. La scelta di liquidare il contenzioso attraverso un accordo bonario è stata dettata dal fatto che, se la questione fosse passata in sede giurisdizionale, il Comune avrebbe dovuto accollarsi una somma ben più consistente. Se, da una parte, il contenzioso è stato risolto, dall’altra, come fa notare Franco Muschietti, consigliere di Forza Italia ed ex sindaco, «non si è però fatto nulla per riappropriarci di un bene inestimabile sebbene la Fondazione Cassamarca rimanga disponibile a investire». Ora la Villa è in stato di degrado e gli affreschi del salone delle feste stanno cadendo a pezzi. La struttura necessiterebbe di un restauro completo per essere usufruibile. Il Comune, negli anni passati, ha ristrutturato il tetto, sebbene la Villa fosse già di proprietà dell’Università di Padova, perché pioveva dentro ma poi non ha più potuto continuare a investire su un bene non di sua proprietà. La Villa è stata «persa» dalla città per un rapporto infelice fra il conte proprietario e l’amministrazione. Una storia molto datata: risale alla costruzione dell’ospedale cittadino eretto su una parte del parco della Villa. Da lì iniziarono le prese di distanza, poi culminate con la decisione del conte di lasciare la sua proprietà all’università. Nel lascito è specificato, tra l’altro, che la struttura deve essere mantenuta come alto centro culturale. I castellani stanno pagando le beghe di vecchie amministrazioni e hanno perso davvero un’occasione per avere un polo culturale di alto livello e sovraprovinciale e un’area verde di collegamento fra le varie parti della città. «L’amministrazione deve essere decisa con l’università perché non si può pensare di lasciar cadere in rovina un bene così prezioso» conclude Franco Muschietti chiedendo all’amministrazione di riallacciare in maniera decisa le trattative con Marchesini, il nuovo rettore dell’università patavina.
La necessità di una nuova programmazione, il rispetto dovuto a ciò che gli avi ci hanno consegnato. Città da vivere, città da liberare. L’edilizia a zone ha reso invivibile il tessuto urbano. Il territorio non edificato deve essere concepito non come un museo pietrificato ma come una preziosa riserva per i progetti del futuro. (articolo apparso in La Tribuna, giovedì 28 novembre 2002).
Il recente messaggio dell’assessore Antonio Padoin per uno stop all’edilizia selvaggia è un messaggio di speranza per un territorio come il Veneto (e non solo), martoriato da un vuoto di programmazione territoriale e da un laissez faire che ha lasciato un segno nefasto per l’immagine della regione e per l’intelligenza della sua gente. Tradire i «segni» lasciati dalle nostre precedenti generazioni potrà essere solo imperdonabile. Sembra così che la voce della gente, delle associazioni e di quanti chiedono da tempo un recupero dell’immagine del territorio, in varie iniziative di cui vogliamo ricordare solo le più recenti, che vanno dall’incontro di Villa delle Rose (Il mattino di Padova del 9/10/02), a recenti convegni di Urbanistica di Mira e di Treviso, sia stata finalmente raccolta dal Palazzo tanto da suscitare sorpresa e fare rinviare la decisione della Nuova Legge Regionale sul Territorio, tanto attesa quanto decisiva per salvare (il salvabile) o condannare il futuro del Territorio. Quello che intendo fare è riprendere il discorso in un momento di impasse nel modesto tentativo di sottolineare i punti di contatto convergenti più che i punti divergenti delle opposte posizioni, che non vanno solo viste con la formula “Delega sì o delega no”. Chiaro è che tutte le parti in campo cercano il bene del Paese e la soluzione possibile sarà quella magari capace di salvaguardare il territorio o meglio (dico io) valorizzare l’ambiente da un lato e garantire la possibilità di uno sviluppo economico adeguato alle nostre comuni ambizioni e oggi troppo spesso definito «sostenibile”. Ci piacerebbe avere la bacchetta magica e stendere qui la giusta soluzione, ma non rinunciamo per questo a stendere le problematiche in campo. Il territorio, che va visto come tutto il territorio non edificato, non è un’idea romantica, o frutto di un atteggiamento conservatore, un oggetto maniacalmente caro alle associazioni di salvaguardia (o dei No Global), ma bensì una vera e propria riserva per ogni progetto futuro; di un futuro speriamo meglio progettato di quanto non si abbia fatto recentemente. Mi piace citare l’esempio dell’Autostrada Vi-Tv-Ud-Ts progettata nel 1927 e non realizzata, ma oggi non più realizzabile e pensare quante problematiche avrebbe oggi risolto per l’industria del Triveneto, vedi “Pedemontana” vedi Passante ecc. Infrastruttura questa senz’altro primaria ma irrealizzabile proprio per causa della famosa cementificazione. Mi piacerebbe ancora disegnare il futuro modello di complesso industriale, così come lo si può intuire attraverso grandi progetti più o meno futuribili ma che possiamo aver intuito visitando la attuale Biennale d’architettura di Venezia. Ma mi piace di più sottolineare e ricordare come per esempio in California la newtecnology si realizza e trova spazio in quartieri residenziali riciclati alle nuove esigenze, dando così nuove funzioni a vecchi insediamenti; senza ulteriore consumo del territorio, là dove certo non manca. Evidentemente una simile scelta non dipende dalla «comodità» dell’insediamento, ma bensì dl riutilizzo di una serie di «servizi» preesistenti tipo strade e sottoservizi ecc. Credo sì, ci siano elementi sufficienti per un momento di riflessione, perché l’azienda di oggi non è più quella di 10-15 anni fa ed è destinata a cambiare ancora in fretta; come ebbi già a dire non è più fatta di coperture a schede alte ciminiere, ma invece noi continuiamo a costruire i medesimi capannoni, magari con la velleità di “odierne facciate” (sic). Abbiamo in compenso città sempre più vuote, per le quali dobbiamo trovare nuove funzioni per ripopolarle e ritrovare loro nuovi ruoli. Basta alle città zonizzate (leggi Prg) in quartieri “Parioli” e zone popolari, qui la cittadella dello sport e la cittadella degli studi e appena “fuori città” l’ennesimo centro commerciale per ritrovare in “corso Garibaldi” i quattro negozi di scarpe e maglierie… e neanche un panettiere visto che mancano i residenti. Insostituibile ed inevitabile il “grido” dell’assessore Padoin per una nuova perimetrazione delle città e dell’area produttiva, non per bloccare lo sviluppo, ma per riprogrammare e ridisegnare. Cosa che è oggi possibile specie valutando le disponibilità di volumi e superfici già edificate e/o programmate senza provocare traumi insuperabili alla produttività. Obiettivo fondamentale, per esempio sarà la separazione delle attività inquinanti dalle non inquinanti, dette anche pulite. Vengano accolte le attività inquinanti in grandi aree (comprensori) ben servite dalla viabilità e da giusti impianti di depurazione e di smaltimento sotto la competenza delle Province e riapriamo le porte della città o meglio del già edificato alle attività “pulite”, all’insegna della città integrata mista, diversificata, come d’altra parte era in passato. Riportiamo, per quanto possibile, il luogo di lavoro comodo al lavoratore, all’insegna di minore inquinamento, migliori servizi… di un nuovo mondo. Riportiamo nuovi interessi verso la città salvando così una buona fetta di territorio. Centro storico è quella parte della città, realizzata in passato dove si è fatta la storia, avremo l’occasione di realizzare centri storici moderni dove si fa e si farà la storia.
Mediamente oggi la città storica coinvolge circa (a volte meno) il 10 per cento della popolazione che per il 90 per cento occupa la così detta periferia, dove in realtà oggi si fa la storia dei nostri giorni. A Vicenza, dentro le mura, 2º cerchio, i residenti sono meno di 7.000 unità, invece dei circa 50.000 di 50 anni fa, su 110.000 residenti complessivi. Le amministrazioni si attivino con entusiasmo per un rientro dei cittadini nelle città vecchie provvedendo ad una riqualificazione dei servizi e pensando in grande, riattivando strumenti legislativi ancora vigenti e proponendo un nuovo pacchetto di incentivi utili all’obiettivo. Nelle città monumentali non necessitano interventi stravolgenti, ma operazioni di recupero dei grandi contenitori e lasciando spazio a compatibili cambi di destinazione. E’ ancora vigente la Legge di Napoli magari utile alla ricomposizione fondiaria di unità o di isolati di più difficile recupero, o si inventi nuove tasse per le case vuote usate come bene rifugio e si agevoli ogni iniziativa positiva. Senza vendere certi “gioielli di famiglia”, la pubblica amministrazione alieni quanto ha di non utilizzato o sottoutilizzato e si pensi alle infrastrutture necessarie, senza dover sempre cercare gli esempi di Avignone o dove altro. Si torni ad usare lo strumento del MasterPlan, capace di far vedere a tutti il risultato finale dell’intervento e della sua qualità, sia nei centri storici così come per le nuove espansioni, realizzando di volta in volta quel che serve o quel che pubblicamente e ufficialmente si vuole. Quando voliamo in aereo sull’Europa del nord guardiamo con invidia le forme compatte e disegnate delle città e cittadine sotto di noi (vedi foto dalla Massara); possiamo e dobbiamo tornare ad essere orgogliosi anche delle nostre città e forse anche delle nostre aree produttive. Una giusta scelta fatta oggi potrà essere occasione di un grande salto di qualità, non certo uno “arrestare lo sviluppo”.
Ulteriori annotazioni saranno qui di seguito pubblicate, a cura del Comitato spontaneo er il parco pubblico.