cartier-bresson foto

Se ne va anche Cartier-Bresson, “creatore dall’occhio incomparabile” (Jacques Chirac)

Pubblicato il Pubblicato in Arte e cultura

Henri Cartier-Bresson è passato all’aldilà a 95 anni. E’ deceduto all’ospedale di Isle sur la Sorgue. Bresson è stato uno dei più grandi maestri della fotografia che tutti noi possiamo ricordare.
Nel 2001 venne a Venezia in occasione all’ianugurazione della mostra che palazzo Grassi aveva allestito per onorare un suo grande amico, classe 1908 come lui, Balthus. Sposato con Martine Frank, anch’essa grande talento della foto, lo conoscevamo come un uomo elegante, silenzioso e immobile che si sosteneva con il suo bastone da passeggio, per contemplare “Le passage du commerce Saint-André”: una bimba affaccendata a giocare, un nano gobbo accovacciato sul ciglio di un marciapiede, in primo piano una ragazza assorta con addosso un maglioncino giallo. E lui era lì nel bel mezzo della sala, con in mano un cartoncino giallo (casuale consonanza: lo stesso giallo del golf della giovane dipinta) allungato davanti al viso, quasi a voler mettere a fuoco, con quei suoi occhi azzurrissimi, un punto preciso del dipinto.

Alcuni giovani fotografi stavano lontani a guardare e lo fotografavano, come in un curioso gioco di specchi e di rimandi. Era evidente la loro emozione, ad ogni scatto: prestigio, fama, carisma inalterati, il Fotografo del secolo scorso era lì quasi incurante di chi lo fotografava (non sopportava di essere ripreso, se non da sua moglie). Bresson era di casa a Venezia e nell’entroterra che aveva più volte visitato le bellezze del Palladio e di Giotto.

Nacque il 22 agosto del 1908 a Chantelup, 30 chilometri a est di Parigi, di “ricca borghesia francese” (industrie tessili già note ai tempi di Waterloo). Il padre André, come a lui stesso piaceva raccontare, era molto colto, così la madre Marthe.
Non ci fu nessun rammarico in famiglia quando il giovane Henri disse di voler fare il pittore. Nel 1927, a 19 anni, venne mandato a bottega da un cubista moderato, non grande pittore, ma grande maestro. Nel ’29 va in Inghilterra, un anno di studio nella cittadina universitaria di Cambridge, letteratura e storia dell’arte. Torna in Francia per assolvere il servizio militare. E qui, da giovane recluta, lascia il pennello per prendere in mano una macchina fotografica. Una Brownie a fuoco fisso. Era un nuovo modo di disegnare: con un click potevi fissare per sempre l’istante fuggente. Fece carriera. Dopo il servizio militare se va in Africa, in Costa d’Avorio, sta con i nativi, ma si ammala. Deve tornare presto e a Marsiglia, in ospedale, riprende in mano un’altra macchina fotografica, la Leica, altro grande apparecchio per pochi. Da quel momento non l’abbandonerà più. E da quel momento non si lascia scappare nessuno degli eventi che la vita gli ha concesso di attraversare. Inizia a viaggiare e a vivere nei paesi che visita. “Viaggiare nel mondo degli altri” per capire quelle realtà prima di fotografarle. A New York nel ’35 dice di “scoprire il vero cinema”. Nel ’36 a Parigi riesce ad avere un ruolo di assistente di Jean Renoir e girerà con lui il suo capolavoro, “La regola del gioco”. Bresson, non ferma la cinema. Va in Spagna durante la guerra civile, va a Londra e fotografa per Life l’incoronazione di Giorgio VI. Ma non riprende il lato sfarzoso della cerimonia. A lui interessano i volti commossi della gente qualunque. E’ a Parigi per la liberazione dal giogo nazista, ripercorre tutti gli angoli della città e in tutte le ore.
E’ in queste scelte, l’approccio che lo contraddistinguerà, “l’approccio obliquo alla realtà”, quel modo di vedere che in molti di noi appaga la sensazione di “esserci stati”. Le sue riprese di tanti scatti che ne riproporrà solo una piccolissima parte per la stampa o per mostre, sono profondi, penetranti e inimitabili. A fine guerra diventa il fotografo più celebre al mondo, come molti giornali ne attestano la supremazia. Fonda nel 1946 con Bob Capa e David “Chim” Seymour la Magnum Photos.
Il fotogiornalismo ha la sua definitiva svolta. Sarà a Pechino e in Indonesia, in India quando venne ucciso Gandhi. Nel 1954 il Louvre ordina una mostra delle sue opere: il primo fotografo al mondo. Negli anni ’70 ricomincia a disegnare con maggiore intensità (non ha mai smesso di dipingere), le foto sono solo per i suoi amici. Per Jacques Chirac, “questo creatore dall’occhio incomparabile, la Francia perde un fotografo di genio, un vero maestro, uno degli artisti più dotati della sua generazione e dei più rispettati al mondo”.

Il maestro Henri Cartier-Bresson, nato a Chanteloup in Francia nel 1908, intraprende l’attività fotografica negli anni Trenta Nel dopoguerra collabora con la rivista Harper’s Bazaar e poi fonda con altri colleghi la Magnum Photos, che diventerà l’agenzia di fotografia più nota al mondo. Si separa dalla Magnum nel 1966 per poi dedicarsi soltanto al disegno dal 1974. Nell’81 vince il Gran premio nazionale per la fotografia e nell’86 il Premio Novecento

Rio Mare, particolare della scatola di tonno

Parigi, 5 agosto 2004. Henri Cartier-Bresson è passato all’aldilà a 95 anni. E’ deceduto all’ospedale di Isle sur la Sorgue. Bresson è stato uno dei più grandi maestri della fotografia che tutti noi possiamo ricordare.
Nel 2001 venne a Venezia in occasione all’ianugurazione della mostra che palazzo Grassi aveva allestito per onorare un suo grande amico, classe 1908 come lui, Balthus. Sposato con Martine Frank, anch’essa grande talento della foto, lo conoscevamo come un uomo elegante, silenzioso e immobile che si sosteneva con il suo bastone da passeggio, per contemplare “Le passage du commerce Saint-André”: una bimba affaccendata a giocare, un nano gobbo accovacciato sul ciglio di un marciapiede, in primo piano una ragazza assorta con addosso un maglioncino giallo. E lui era lì nel bel mezzo della sala, con in mano un cartoncino giallo (casuale consonanza: lo stesso giallo del golf della giovane dipinta) allungato davanti al viso, quasi a voler mettere a fuoco, con quei suoi occhi azzurrissimi, un punto preciso del dipinto.

Alcuni giovani fotografi stavano lontani a guardare e lo fotografavano, come in un curioso gioco di specchi e di rimandi. Era evidente la loro emozione, ad ogni scatto: prestigio, fama, carisma inalterati, il Fotografo del secolo scorso era lì quasi incurante di chi lo fotografava (non sopportava di essere ripreso, se non da sua moglie). Bresson era di casa a Venezia e nell’entroterra che aveva più volte visitato le bellezze del Palladio e di Giotto.

Nacque il 22 agosto del 1908 a Chantelup, 30 chilometri a est di Parigi, di “ricca borghesia francese” (industrie tessili già note ai tempi di Waterloo). Il padre André, come a lui stesso piaceva raccontare, era molto colto, così la madre Marthe.
Non ci fu nessun rammarico in famiglia quando il giovane Henri disse di voler fare il pittore. Nel 1927, a 19 anni, venne mandato a bottega da un cubista moderato, non grande pittore, ma grande maestro. Nel ’29 va in Inghilterra, un anno di studio nella cittadina universitaria di Cambridge, letteratura e storia dell’arte. Torna in Francia per assolvere il servizio militare. E qui, da giovane recluta, lascia il pennello per prendere in mano una macchina fotografica. Una Brownie a fuoco fisso. Era un nuovo modo di disegnare: con un click potevi fissare per sempre l’istante fuggente. Fece carriera. Dopo il servizio militare se va in Africa, in Costa d’Avorio, sta con i nativi, ma si ammala. Deve tornare presto e a Marsiglia, in ospedale, riprende in mano un’altra macchina fotografica, la Leica, altro grande apparecchio per pochi. Da quel momento non l’abbandonerà più. E da quel momento non si lascia scappare nessuno degli eventi che la vita gli ha concesso di attraversare. Inizia a viaggiare e a vivere nei paesi che visita. “Viaggiare nel mondo degli altri” per capire quelle realtà prima di fotografarle. A New York nel ’35 dice di “scoprire il vero cinema”. Nel ’36 a Parigi riesce ad avere un ruolo di assistente di Jean Renoir e girerà con lui il suo capolavoro, “La regola del gioco”. Bresson, non ferma la cinema. Va in Spagna durante la guerra civile, va a Londra e fotografa per Life l’incoronazione di Giorgio VI. Ma non riprende il lato sfarzoso della cerimonia. A lui interessano i volti commossi della gente qualunque. E’ a Parigi per la liberazione dal giogo nazista, ripercorre tutti gli angoli della città e in tutte le ore.
E’ in queste scelte, l’approccio che lo contraddistinguerà, “l’approccio obliquo alla realtà”, quel modo di vedere che in molti di noi appaga la sensazione di “esserci stati”. Le sue riprese di tanti scatti che ne riproporrà solo una piccolissima parte per la stampa o per mostre, sono profondi, penetranti e inimitabili. A fine guerra diventa il fotografo più celebre al mondo, come molti giornali ne attestano la supremazia. Fonda nel 1946 con Bob Capa e David “Chim” Seymour la Magnum Photos.
Il fotogiornalismo ha la sua definitiva svolta. Sarà a Pechino e in Indonesia, in India quando venne ucciso Gandhi. Nel 1954 il Louvre ordina una mostra delle sue opere: il primo fotografo al mondo. Negli anni ’70 ricomincia a disegnare con maggiore intensità (non ha mai smesso di dipingere), le foto sono solo per i suoi amici. Per Jacques Chirac, “questo creatore dall’occhio incomparabile, la Francia perde un fotografo di genio, un vero maestro, uno degli artisti più dotati della sua generazione e dei più rispettati al mondo”.

Parigi, 5 agosto 2004. Henri Cartier-Bresson è passato all’aldilà a 95 anni. E’ deceduto all’ospedale di Isle sur la Sorgue. Bresson è stato uno dei più grandi maestri della fotografia che tutti noi possiamo ricordare.
Nel 2001 venne a Venezia in occasione all’ianugurazione della mostra che palazzo Grassi aveva allestito per onorare un suo grande amico, classe 1908 come lui, Balthus. Sposato con Martine Frank, anch’essa grande talento della foto, lo conoscevamo come un uomo elegante, silenzioso e immobile che si sosteneva con il suo bastone da passeggio, per contemplare “Le passage du commerce Saint-André”: una bimba affaccendata a giocare, un nano gobbo accovacciato sul ciglio di un marciapiede, in primo piano una ragazza assorta con addosso un maglioncino giallo. E lui era lì nel bel mezzo della sala, con in mano un cartoncino giallo (casuale consonanza: lo stesso giallo del golf della giovane dipinta) allungato davanti al viso, quasi a voler mettere a fuoco, con quei suoi occhi azzurrissimi, un punto preciso del dipinto.

Alcuni giovani fotografi stavano lontani a guardare e lo fotografavano, come in un curioso gioco di specchi e di rimandi. Era evidente la loro emozione, ad ogni scatto: prestigio, fama, carisma inalterati, il Fotografo del secolo scorso era lì quasi incurante di chi lo fotografava (non sopportava di essere ripreso, se non da sua moglie). Bresson era di casa a Venezia e nell’entroterra che aveva più volte visitato le bellezze del Palladio e di Giotto.

Nacque il 22 agosto del 1908 a Chantelup, 30 chilometri a est di Parigi, di “ricca borghesia francese” (industrie tessili già note ai tempi di Waterloo). Il padre André, come a lui stesso piaceva raccontare, era molto colto, così la madre Marthe.
Non ci fu nessun rammarico in famiglia quando il giovane Henri disse di voler fare il pittore. Nel 1927, a 19 anni, venne mandato a bottega da un cubista moderato, non grande pittore, ma grande maestro. Nel ’29 va in Inghilterra, un anno di studio nella cittadina universitaria di Cambridge, letteratura e storia dell’arte. Torna in Francia per assolvere il servizio militare. E qui, da giovane recluta, lascia il pennello per prendere in mano una macchina fotografica. Una Brownie a fuoco fisso. Era un nuovo modo di disegnare: con un click potevi fissare per sempre l’istante fuggente. Fece carriera. Dopo il servizio militare se va in Africa, in Costa d’Avorio, sta con i nativi, ma si ammala. Deve tornare presto e a Marsiglia, in ospedale, riprende in mano un’altra macchina fotografica, la Leica, altro grande apparecchio per pochi. Da quel momento non l’abbandonerà più. E da quel momento non si lascia scappare nessuno degli eventi che la vita gli ha concesso di attraversare. Inizia a viaggiare e a vivere nei paesi che visita. “Viaggiare nel mondo degli altri” per capire quelle realtà prima di fotografarle. A New York nel ’35 dice di “scoprire il vero cinema”. Nel ’36 a Parigi riesce ad avere un ruolo di assistente di Jean Renoir e girerà con lui il suo capolavoro, “La regola del gioco”. Bresson, non ferma la cinema. Va in Spagna durante la guerra civile, va a Londra e fotografa per Life l’incoronazione di Giorgio VI. Ma non riprende il lato sfarzoso della cerimonia. A lui interessano i volti commossi della gente qualunque. E’ a Parigi per la liberazione dal giogo nazista, ripercorre tutti gli angoli della città e in tutte le ore.
E’ in queste scelte, l’approccio che lo contraddistinguerà, “l’approccio obliquo alla realtà”, quel modo di vedere che in molti di noi appaga la sensazione di “esserci stati”. Le sue riprese di tanti scatti che ne riproporrà solo una piccolissima parte per la stampa o per mostre, sono profondi, penetranti e inimitabili. A fine guerra diventa il fotografo più celebre al mondo, come molti giornali ne attestano la supremazia. Fonda nel 1946 con Bob Capa e David “Chim” Seymour la Magnum Photos.
Il fotogiornalismo ha la sua definitiva svolta. Sarà a Pechino e in Indonesia, in India quando venne ucciso Gandhi. Nel 1954 il Louvre ordina una mostra delle sue opere: il primo fotografo al mondo. Negli anni ’70 ricomincia a disegnare con maggiore intensità (non ha mai smesso di dipingere), le foto sono solo per i suoi amici. Per Jacques Chirac, “questo creatore dall’occhio incomparabile, la Francia perde un fotografo di genio, un vero maestro, uno degli artisti più dotati della sua generazione e dei più rispettati al mondo”.

Il maestro Henri Cartier-Bresson, nato a Chanteloup in Francia nel 1908, intraprende l’attività fotografica negli anni Trenta Nel dopoguerra collabora con la rivista Harper’s Bazaar e poi fonda con altri colleghi la Magnum Photos, che diventerà l’agenzia di fotografia più nota al mondo. Si separa dalla Magnum nel 1966 per poi dedicarsi soltanto al disegno dal 1974. Nell’81 vince il Gran premio nazionale per la fotografia e nell’86 il Premio Novecento

Rio Mare, particolare della scatola di tonno

Parigi, 5 agosto 2004. Henri Cartier-Bresson è passato all’aldilà a 95 anni. E’ deceduto all’ospedale di Isle sur la Sorgue. Bresson è stato uno dei più grandi maestri della fotografia che tutti noi possiamo ricordare.
Nel 2001 venne a Venezia in occasione all’ianugurazione della mostra che palazzo Grassi aveva allestito per onorare un suo grande amico, classe 1908 come lui, Balthus. Sposato con Martine Frank, anch’essa grande talento della foto, lo conoscevamo come un uomo elegante, silenzioso e immobile che si sosteneva con il suo bastone da passeggio, per contemplare “Le passage du commerce Saint-André”: una bimba affaccendata a giocare, un nano gobbo accovacciato sul ciglio di un marciapiede, in primo piano una ragazza assorta con addosso un maglioncino giallo. E lui era lì nel bel mezzo della sala, con in mano un cartoncino giallo (casuale consonanza: lo stesso giallo del golf della giovane dipinta) allungato davanti al viso, quasi a voler mettere a fuoco, con quei suoi occhi azzurrissimi, un punto preciso del dipinto.

Alcuni giovani fotografi stavano lontani a guardare e lo fotografavano, come in un curioso gioco di specchi e di rimandi. Era evidente la loro emozione, ad ogni scatto: prestigio, fama, carisma inalterati, il Fotografo del secolo scorso era lì quasi incurante di chi lo fotografava (non sopportava di essere ripreso, se non da sua moglie). Bresson era di casa a Venezia e nell’entroterra che aveva più volte visitato le bellezze del Palladio e di Giotto.

Nacque il 22 agosto del 1908 a Chantelup, 30 chilometri a est di Parigi, di “ricca borghesia francese” (industrie tessili già note ai tempi di Waterloo). Il padre André, come a lui stesso piaceva raccontare, era molto colto, così la madre Marthe.
Non ci fu nessun rammarico in famiglia quando il giovane Henri disse di voler fare il pittore. Nel 1927, a 19 anni, venne mandato a bottega da un cubista moderato, non grande pittore, ma grande maestro. Nel ’29 va in Inghilterra, un anno di studio nella cittadina universitaria di Cambridge, letteratura e storia dell’arte. Torna in Francia per assolvere il servizio militare. E qui, da giovane recluta, lascia il pennello per prendere in mano una macchina fotografica. Una Brownie a fuoco fisso. Era un nuovo modo di disegnare: con un click potevi fissare per sempre l’istante fuggente. Fece carriera. Dopo il servizio militare se va in Africa, in Costa d’Avorio, sta con i nativi, ma si ammala. Deve tornare presto e a Marsiglia, in ospedale, riprende in mano un’altra macchina fotografica, la Leica, altro grande apparecchio per pochi. Da quel momento non l’abbandonerà più. E da quel momento non si lascia scappare nessuno degli eventi che la vita gli ha concesso di attraversare. Inizia a viaggiare e a vivere nei paesi che visita. “Viaggiare nel mondo degli altri” per capire quelle realtà prima di fotografarle. A New York nel ’35 dice di “scoprire il vero cinema”. Nel ’36 a Parigi riesce ad avere un ruolo di assistente di Jean Renoir e girerà con lui il suo capolavoro, “La regola del gioco”. Bresson, non ferma la cinema. Va in Spagna durante la guerra civile, va a Londra e fotografa per Life l’incoronazione di Giorgio VI. Ma non riprende il lato sfarzoso della cerimonia. A lui interessano i volti commossi della gente qualunque. E’ a Parigi per la liberazione dal giogo nazista, ripercorre tutti gli angoli della città e in tutte le ore.
E’ in queste scelte, l’approccio che lo contraddistinguerà, “l’approccio obliquo alla realtà”, quel modo di vedere che in molti di noi appaga la sensazione di “esserci stati”. Le sue riprese di tanti scatti che ne riproporrà solo una piccolissima parte per la stampa o per mostre, sono profondi, penetranti e inimitabili. A fine guerra diventa il fotografo più celebre al mondo, come molti giornali ne attestano la supremazia. Fonda nel 1946 con Bob Capa e David “Chim” Seymour la Magnum Photos.
Il fotogiornalismo ha la sua definitiva svolta. Sarà a Pechino e in Indonesia, in India quando venne ucciso Gandhi. Nel 1954 il Louvre ordina una mostra delle sue opere: il primo fotografo al mondo. Negli anni ’70 ricomincia a disegnare con maggiore intensità (non ha mai smesso di dipingere), le foto sono solo per i suoi amici. Per Jacques Chirac, “questo creatore dall’occhio incomparabile, la Francia perde un fotografo di genio, un vero maestro, uno degli artisti più dotati della sua generazione e dei più rispettati al mondo”.